Da Parigi a oggi
La Belle Époque di fine millennio
Un altro secolo sta per chiudersi, lasciando alle spalle ciò che ha fatto la sua storia. Le speranze, le scoperte, gli studi, il progresso, nel corso di cento anni si sono in gran parte trasformati in realtà, e le aspettative che l'uomo moderno rivolge nei confronti del nuovo millennio saranno probabilmente soddisfatte anch'esse entro breve tempo. Ma cosa sognava la popolazione di cento anni fa, cosa si aspettava dal secolo che di lì a poco si sarebbe aperto? E' un po' la stessa domanda che specularmente si potrebbe rivolgere oggi, nell'attesa non solo che si chiuda un secolo qualunque, ma che inizi il sospirato terzo millennio.
Un secolo fa Parigi era la capitale culturale del mondo, ed era immersa in quel periodo felice ricordato da tutti come la Belle époque. Nasceva l'illuminazione a gas, si utilizzavano i primi omnibus a cavalli; erano in voga il Moulin Rouge e le Folies Bergère. I café vivevano il loro momento di gloria grazie anche alla posizione centrale sui grands bouleverds consacrati ai teatri, alle redazioni dei giornali, alla moda. Parigi scopriva di non essere più un villaggio, ma di essersi trasformata in una città dove la parola d'ordine sembrava essere quella di mettersi in mostra. La moda aveva ormai influenze in ogni campo della vita, che pareva svolgersi come su un grande palcoscenico teatrale.
Fu in questo ambito di fermento culturale e politico, dove i camerieri dei café arrivarono addirittura a scioperare per il diritto a portare la barba, che nacque il cinema. Era il 1895, e dopo anni di studi ed esperimenti, i fratelli Lumière decisero di organizzare la prima proiezione pubblica al numero 14 del Boulevard des Capucines a Parigi.
Quello che colpì nei primi spettacoli cinematografici e che riuscì anche a decretare velocemente il successo di questa spettacolare invenzione, fu l'esattezza ed il realismo delle rappresentazioni che consentivano al pubblico di assistere a scene in cui la verità e la verità della vita veniva riprodotta sul grande schermo.
Non era particolarmente importante la cura della rappresentazione, delle immagini o dell'inquadratura, quanto il realismo di ciò che era riprodotto attraverso l'utilizzo di una cinecamera fissa in cui le riprese erano effettuate sempre frontalmente.
Pochi anni dopo sarà un altro francese, Georges Méliès, ad apportare le prime modifiche alla visione cinematografica, cercando di approfondire il carattere illusorio della realtà che il grande schermo sottolineava abilmente. I suoi spettacoli infatti consentivano di concretizzare l'irreale e visualizzare l'impossibile nell'ambito dell'illusione ottica e della fantasmagoria. Anche lui, però, limitò quest'arte all'approfondimento di tecniche e tematiche teatrali di cui era un esperto conoscitore, non utilizzando movimenti di macchina, né alternanza di piani, inquadrando la maggior parte dei protagonisti in campo medio.
Méliès fu il primo ad occuparsi comunque della cura della messinscena, a porre le prime differenze tra un film documentaristico ed uno spettacolare.
Ad un secolo di distanza l'arte cinematografica ha compiuto innumerevoli progressi. I mezzi di produzione hanno raggiunto tecniche sofisticate che con il passare degli anni migliorano continuamente. Il film durante il Novecento ha conseguito due grandi svolte: il sonoro e la pellicola a colori. Oggi non esiste, come allora, un centro culturale mondiale: Parigi non è più la capitale del cinema pur avendo conservato un posto privilegiato all'interno della sua storia. I centri di produzione si dislocano ormai in tutto il mondo, con due grandi punti di riferimento: la produzione cinematografica americana e quella europea.
L'uomo di fine '800 probabilmente non si aspettava che il cinema avrebbe acquistato nel corso del tempo un'importanza così elevata. Era all'oscuro degli sviluppi che la tecnica vi avrebbe apportato, e del riconoscimento che oggi l'umanità tributa alla settima arte. Il primo cinema si occupava di indagare la realtà; il cinema moderno preferisce evadere da questa per trasportare lo spettatore al di fuori di essa. Lo spettatore della scorsa fine secolo si spaventava per l'arrivo di un treno alla stazione, così reale da sembrare diretto contro di lui. Nel buio di un cinema di periferia lo spettatore moderno di fine secolo viaggia su una navicella spaziale alla ricerca dell'ultimo alieno inventato dall'immaginazione umana.
La realtà ha lasciato il posto alla fantasia. Gli effetti speciali, di cui Méliès fu l'indiscusso capostipite, consentono la supremazia dell'effimero, del volubile, di ciò che potrebbe essere. Forse tra cento anni quello che per noi oggi è fantascienza sarà considerato realtà. Certo è che, a pochi mesi dal nuovo millennio, e nonostante le aspettative che la scienza e la tecnica trasmettono quotidianamente al mondo, capita ancora di commuoversi di fronte ad un film muto di inizio secolo.
La magia e l'abilità suscitata dai primi cineasti della storia, dalle musiche che accompagnavano la totale assenza delle parole, non svanirà con la fine di un'epoca.
La storia ha fatto il suo corso, e lo continuerà ancora con lo sviluppo ed il progredire delle sue aspettative, ma i silenzi di un'immagine in bianco e nero e l'espressività di quei volti senza voce resteranno l'eredità più importante che qualsiasi amante del cinema farà bene a non dimenticare. Ne è un esempio il regista finlandese Aki Kaurismaki, con Juha, il suo ultimo film in bianco e nero e senza dialoghi. Così scrive il regista: "La facilità di spiegare tutto con le parole ha inquinato il nostro modo di raccontare storie, riducendolo a una pallida ombra rispetto al cinema delle origini. (...) da quando il cinema ha cominciato a giocare con i borbottii, con il "bla bla" e con i ghiribizzi di parole, le storie hanno perduto la loro purezza e il cinema la sua essenza: l'innocenza". Forse è proprio questa innocenza che il cinema del terzo millennio dovrebbe cercare di recuperare.