La stella che non c’è, l’eccezione che conferma la regola. A spasso con Gianni Amelio e Sergio Castellitto
di Martina Palaskov Begov
"Ma è meglio il libro!!" si sente dire troppo spesso a proposito dell'adattamento cinematografico di un romanzo. A volte, invece, è il processo inverso - dal film al libro - ad intrigarci, e non manca la curiosità di aprire quel grosso tomo tra "le novità" in libreria con in copertina il volto della Kidman, o di Tom Cruise, o di chissà quale altro divo…
Gianni Amelio, con il suo ultimo lavoro, La stella che non c'è, non sceglie per nessuna delle due opzioni. Egli legge sì un libro (La dimissione di Ermanno Rea), dal quale resta colpito a tal punto da volerne fare un film: ma a modo suo. Con il benestare della produzione (Cattleya, nella persona di Riccardo Tozzi, che acquisisce i diritti dell'opera), egli si cimenta non tanto in una rilettura, ma in una continuazione della vicenda. Capita spesso di volere, o di provare ad immaginare cosa succederà ai personaggi di una storia, di un film dopo che la parola "the end" scorre inesorabilmente sullo schermo. E non si tratta solo di mere considerazioni naivistiche o infantili (il leggero imbarazzo del genitore nello spiegare al bimbo che i personaggi, soprattutto quelli del grande e piccolo schermo, non hanno un domani, ma al massimo un'eternità fittizia alimentata dall'espediente del vissero tutti felici e contenti). Nella dimensione della fiaba si tende a dare importanza a ciò che un personaggio avrebbe fatto in occasioni o momenti che non fanno parte della sua precisa dimensione diegetica. Nella favola solitamente il personaggio è dotato di peculiarità (spesso di qualità opposte, il buono e il cattivo) a cui ci si riferisce, nell'immaginario collettivo, come ad un esempio, al modello da seguire o da non seguire. Gli studi sul personaggio e sulla sua caratterizzazione hanno inaugurato scuole di pensiero che si fondano sulla completa creazione (o ri-creazione) di elementi immaginari. I cosiddetti "stanislawskiani", per esempio, prendono particolarmente a cuore tutte le possibili sfumature del personaggio, a tal punto da trasformarsi in un suo surrogato. Come si comporterebbe Zivago qualora non fosse morto? Come mangerebbe la sua pagnotta imburrata la mattina? O come risponderebbe alla gente per strada, o ad un insulto in automobile? Già, l'immedesimazione arriva a tal punto da rivedere e rianalizzare il personaggio anche trans-temporalmente e trans-spazialmente (come navigherebbe in Internet Zivago?). Lo scopo dell'attore, in ultima analisi, è quello di diventare il personaggio e, paradossalmente, di offrirgli quella vita che in verità, come si diceva, finisce con le famose paroline nell'epilogo.
Gianni Amelio, tuttavia, fa un'operazione - passateci il termine - ancora più perversa. Egli si rifà alle parole e alle vicende di un personaggio realmente esistito, che per l'occasione e la forma si narra da sé, si racconta con le parole di Rea. Da queste parole, poi, Amelio, con l'aiuto di Umberto Contarello, immagina il suo futuro. Come dice lo stesso maestro: "ho pensato a cosa sarebbe potuto succedere a Vincenzo Bonocore (nel film Bonavolontà): morire o continuare a vivere". Egli continua a vivere, dunque, nelle immagini di Amelio. Si scaglia contro una tendenza, contro una corrente che procede in direzione opposta, egli rema contro e si arrabbia, si ostina, s'impunta. All'inizio non si ha bene l'impressione se ci si trovi di fronte ad un personaggio patetico (nel senso tragico del termine), ipocrita, bravo e buono, o semplicemente disperato. Il racconto non ci viene in aiuto in questo senso, evitando di fornire dettagli importanti della sua vita privata, cosicché, nei 103 minuti passati con Vincenzo, non abbiamo mai l'impressione di conoscerlo come individuo, pur arrivando a percepire le sue paure, le sue incertezze, i suoi dubbi, che, come nelle fiabe, diventano le metafore e le similitudini dei nostri caratteri e delle nostre debolezze. L'ironia con cui Amelio tinteggia il suo testo e il modo esplicito con cui traccia alcuni personaggi, situazioni e luoghi (la Cina, ciò che rappresenta, l'Italia, e ciò che non rappresenta) conducono lo spettatore nei meandri di un bon ton etico collettivo, dove i grandi numeri, le grandi consapevolezze e le grandi verità sono quelle che contano, o che per lo meno dovrebbero contare: la stella che non c'è…
Personaggi che ancora una volta viaggiano, errano mano nella mano in terre sconosciute (questa volta la lontana e grandissima Cina), alla ricerca di quell'universo a cui loro si affidano come pezzo mancante. Un uomo e una donna, stavolta, tra i quali forse nasce una storia d'amore, in cui lui potrebbe, forse, diventare il marito esemplare ed esemplare padre del suo figliolo clandestino…ma Amelio si ferma prima, e ci licenzia con la parola "the end".
Da dove nasce l'idea del film?
[Amelio] Non si sa mai da dove viene l'idea per un film. Uno crede che ci si svegli la mattina e si dica: ah, oggi faccio un film in Cina con protagonista un operaio italiano che si porta appresso un giunto di metallo. Non è vero che l'idea è di quella mattina. L'idea probabilmente risale a chissà quanti anni prima e quella mattina si è materializzata. Questa volta c'è stato un caso molto preciso. Io avevo letto un libro che racconta una storia vera di una vendita di una fabbrica italiana ad un gruppo industriale cinese. Questo libro, che è un libro "verità", ovvero racconta una storia dalla viva voce del protagonista che la racconta ad uno scrittore, parla dell'esperienza di una delegazione cinese che sta tre mesi in Italia, e, durante quest'esperienza, i rappresentanti consolidano un'amicizia con un operaio italiano. Il loro soggiorno giunge al termine e quindi partono. L'operaio italiano rimane da solo, senza lavoro, senza la sua fabbrica, senza la macchina con la quale aveva lavorato trent'anni. Questa la vicenda reale alla quale io mi sono ispirato.
Si è solo ispirato però…
[Amelio] Infatti…Leggendo il libro mi sono chiesto come quest'uomo possa reagire alla perdita di tutto il suo mondo! Ho pensato: o si rassegna, e in qualche modo muore, oppure fa un gesto esagerato, un gesto quasi da pazzo, un gesto che non è un gesto che farebbero tutti, in altre parole parte per la Cina perché ha scoperto che la macchina ha un difetto, e lui solo è capace di aggiustarla. Questo è un viaggio che indubbiamente ha un doppio significato. Si legge tra le righe che il viaggio in Cina è un modo per ritrovare la forza di vivere, di ricominciare una vita che a lui sembrava finita.
Ad un certo punto Vincenzo dice della Cina: "non è quello che pensavo". E il suo personaggio femminile (Liu Hua/Ling Tai) dice: "perché non hai pensato ai Cinesi". Ha voluto forse fare un film non solo sul conflitto economico tra Occidente e Oriente, ma anche sulla "gente" cinese?
[Amelio] No, non era mia intenzione…Nelle due battute del film che lei ha citato io speravo ci fosse anche un leggero senso di ironia! È chiaro che nel contesto bisogna anche vedere l'espressione e i modi dell'attore, il tono di voce. Lui sembra amareggiato, perché vede che in Cina c'è povertà, confusione. In Cina c'è tanta gente che non vive dignitosamente. Vincenzo, che ha creduto nel sistema politico cinese, non si aspettava di trovare una situazione così disperata: non si sarebbe mai immaginato un condominio fatto di grattacieli popolari dove abitano ottomila persone, una sopra l'altra, e dove si capisce che la gente non vive bene. Allora Liu dice sorridendo: "tu non sai tutto della Cina"; per ovvi motivi geografici e culturali, chiaro…poi in un altro momento, gli dice: "tu ami la Cina, ma forse senza i cinesi". Nel senso che a Vincenzo piace il paesaggio, i bellissimi posti, ma non quello che i cinesi sono, come vivono e come sono costretti a sopravvivere. Lui comprende l'ironia di lei e risponde con altrettanta ironia dicendo: "io allora amo l'Italia, ma non amo gli italiani".
Che rapporto ha Vincenzo con il suo lavoro, il suo modo di pensare, e con quelli che, invece, sono i grandi sistemi capitalistico-consumistici, di cui la Cina è oggi degna rappresentante?
[Amelio] Vincenzo non pretende tanto dalla vita, vorrebbe solamente che in questo mondo, sia in Cina sia in Italia, ci fosse rispetto per l'uomo, per la persona. Lui detesta la cialtroneria, l'approssimazione. Mi permetta di aprire una piccola parentesi che riguarda il suo lavoro. Molti giornalisti hanno una specie di comandamento, che dice: "ricordati che domani, nella pagina dove tu hai scritto l'articolo, incarteranno il pesce". Io ritengo che questa sia una pessima maniera di guardare al proprio mestiere. Nel momento in cui si scrive, a mio avviso, bisognerebbe pensare che quella pagina venga letta da qualcuno e che non serva solo ad incartare il pesce. Beh, Vincenzo è una persona che la pensa in questo modo. Quando egli si mette in testa di fare una cosa, decide di farla al massimo delle sue capacità, con il massimo dell'impegno. Purtroppo lui si trova in un mondo dove tutti fanno le cose come capitano. Per esempio: lui raccomanda ai cinesi di non usare la fiamma ossidrica per smontare la macchina poiché l'impianto si potrebbe danneggiare. Loro invece usano la fiamma ossidrica per fare prima, per accelerare i tempi. Vincenzo pensa e spera in un mondo che sia a misura d'uomo, a misura delle persona. Non è un caso che io lo veda sempre con le mani indaffarate ad aggiustare qualcosa. Aggiusta una macchina da cucire; all'inzio del film, di testa propria, costruisce la centralina danneggiata, e verso la fine del film tenta anche di aggiustare un giocattolo di plastica. Si tratta di una persona che rivendica l'ingegno del singolo, opponendosi ad un mondo che va avanti a creare delle imitazioni, non dei prototipi. Come accade oggi in Cina, che commercia un milione di esemplari che sono però tutti finti, solo delle mere riproduzioni.
Che cosa non sapeva della Cina prima di lavorare al film "La stella che non c'è"?
[Castellitto] Immaginavo della Cina quello che molti occidentali credono di sapere della Cina. Molte delle cose che sapevo, o meglio che credevo di sapere, erano più legate a pregiudizi che ad opinioni o ricerche precise. Il viaggio in Cina è stato una straordinaria mescolanza di illusioni e delusioni. Dai paesaggi, alla geografia di quel paese, abbiamo viaggiato da Shanghai fino al deserto del Gobi, fino alla Mongolia, e la gente che abbiamo incontrato…è stato davvero un film nel film, un'esperienza indimenticabile. E il film nel film è il patrimonio di ricordi che io conservo di questo paese.
A che tipo di pregiudizi si riferisce?
[Castellitto] Forse la parola pregiudizio nel senso letterale del termine. Ognuno di noi ha un'idea più o meno stereotipata delle altre culture. Quando vado in Germania fanno "Ah, italiano", quando vado in Francia fanno "oh italiano", quando vado in Inghilterra fanno "Italiano??". Anche noi facciamo la stessa cosa con gli altri, con le altre culture. L'opinione vera poi la si costruisce sul campo. Inoltre la Cina ha rappresentato, per chi ci ha creduto, e per chi non ci ha creduto, il maoismo, una certa visione, dal sessantotto in poi, di certe idee politiche. Arrivi poi in Cina e vedi che c'è un capitalismo forsennato, applicato con delle regole molto particolari, ancora peggiori forse delle regole applicate da noi, con una combinazione altrettanto micidiale, considerando il fatto che ad applicarle è un governo autoritario, un governo che non consente la libertà. La parola sindacato non credo sia neanche tradotta.
Ad un certo punto del viaggio, se non sbaglio, avete girato anche vicino alla diga delle Tre Gole. Che ne pensa lei personalmente dell'area che è definita della "Cina Moderna"? Il lavoro della diga risulta abbastanza imponente…
[Castellitto] La cosa che mi ha colpito forse anche di più del fiume Azzurro e della diga è la struttura architettonica di tutti gli stabilimenti cinesi. Si tratta di un equilibrio molto precario e pericolosissimo tra una natura bellissima, straordinaria, e il disastro ecologico imminente. Ho sempre avuto la sensazione che da un momento all'altro potesse succedere un disastro ecologico di misure catastrofiche. Quando mi trovai in altre città o in altri luoghi meno grandi ed importanti, l'idea non mi ha mai sfiorato e anche se il pensiero mi ha, forse, sfiorato la mente, non ho mai pensato a quel problema come ad un problema "mondiale", di "tutti". La Cina è enorme, un pianeta nel pianeta.
Ci parli della reazione delle persone nel vedervi girare. Che tipo di accoglienza avete avuto in Cina in quanto occidentali?
[Castellitto] Nessuna reazione in particolare. Nei piccoli villaggi la gente era decisamente più interessata e curiosa. Nelle grandi città, devo essere sincero, il brulichio umano è talmente massiccio che credo non si siano nemmeno accorti di noi. Spesso abbiamo girato con una macchina a mano tra la gente, che non ci ha nemmeno fatto caso. Dubito fortemente che se ne siano accorti. Meglio così, temo che avrebbero guardato tutti in macchina, avessimo avuto un equipaggiamento più imponente…
E la troup? Il modo di lavorare "cinese"?
[Castellitto] Beh, a mio avviso il cinema si assomiglia tutto. Noi in particolare avevamo una troup italiana. Per l'ottanta per cento era una troup italiana, poi c'erano anche delle maestranze cinesi, molto brave devo sottolineare! Del resto il cinema lo sanno fare, da ancor prima di "Lanterne Rosse"…
E che tipo di reazione pensa che avrà il pubblico cinese al film? E la censura cinese?
[Castellitto] Beh, il film in Cina non è ancora uscito, ma lo abbiamo presentato alla censura. Lo hanno amato molto, anche se alcuni suoi membri non hanno amato il discorso critico sulla povertà, sull'abbandono dei figli e altri dettagli non proprio bellissimi del loro paese. Tuttavia, non hanno censurato nulla (1). Non credo il film uscirà nelle sale. Devo dire che la tradizione dell'usufrutto cinematografico in Cina non assomiglia troppo al nostro. Loro optano per un consumo larghissimo e preponderante del DVD, spesso piratati. Non c'è film che non si possa vedere o trovare in Cina. Sono dei falsificatori geniali…e anche dei venditori senza peli sulla lingua. Un'amica della troup mi raccontò che, spulciando vari DVD nei mercatini, trovò "La signora di Shanghai", con Rita Hayworth. A caratteri cubitali però, sotto la locandina del film lesse, con Nicole Kidman…chiaramente hanno capito che il nome di Nicole Kidman vende di più.
Secondo Amelio, il gesto forse più coraggioso del personaggio di Vincenzo Bonavolontà è quando si ferma, quando si ferma nella strada e si siede…
[Castellitto] Infatti!Durante tutto il film egli cammina, cammina, entra ed esce da porte senza chiedere il permesso, entra nelle acciaierie senza curarsi di nulla. Cammina, si agita e non pensa mai, agisce e basta. Quando invece si ferma, si siede, allora forse respira e pensa in modo meno impulsivo, ed ecco che le cose cominciano a cambiare. Non si fa più notare ma viene notato, lui, le sue fatiche e il suo lavoro. L'esito negativo della vicenda lo conosciamo solo noi, non lui. Per lui si tratta di un nuovo inizio.
Lei ha lavorato in Francia, oltre che in Italia. È stato l'alter ego di Marco Bellocchio in molti suoi film e ha interpretato personaggi tra loro a volte molto diversi. Ci sono dei paesi in particolare nei quali vorrebbe lavorare o dei registi con cui vorrebbe collaborare?
[Castellitto] Se devo nominare un regista in particolare, mi ritrovo ad essere molto affascinato dal lavoro che i fratelli Dardenne fanno nel loro cinema. Ammiro soprattutto la loro semplicità e la straordinaria drammaturgia che c'è dietro ai loro racconti. Se penso a "L'Enfant", penso a un piccolo capolavoro non solo di cinema, ma anche di letteratura.
Da una tradizione molto legata alla commedia dell'arte, ad un esposizione attoriale quasi barocca, affine a molti artisti della sua generazione, lei ora sembra maggiormente attratto dalla semplicità, dalla pacatezza e dal silenzio delle immagini…
[Castellitto] Credo che tutti gli attori cerchino alla fine di arrivare alla semplicità, di capirne i meccanismi e di usarne la grazia. Sotto ogni gesto dirompente e dietro ad ogni interpretazione riuscita, si cela la semplicità. Inoltre c'è un lavoro enorme dietro ad un gesto semplice.
In questo film, infatti, il suo personaggio è più pacato e meditabondo di altri, penso a quelli di Bellocchio, per esempio. Che tipo di difficoltà ha avuto nel lavorare a questo personaggio?
[Castellitto] Un attore deve essere un bicchiere vuoto e qualcuno, il regista o la storia stessa, deve riempirlo. Sono quelle le cose che cambiano, non il mio approccio. Un attore deve avere una grande personalità, ma la deve anche nascondere. Cerco un'ambiziosissima umiltà. Umiltà e ambizione: trovo che siano queste le due caratteristiche di un bravo attore. Docile senza essere servile.
Note:
(1) Per un maggior approfondimento sulla lavorazione del film, consigliamo Gianni Amelio, Umberto Contarello: La stella che non c'è, a cura di Lorenzo Codelli, edito dalla Marsilio, collana Nuovo Cinema Italia, 2006.