Carlo Ausino e l'esperienza di Torino Violenta
Incontro Carlo Ausino in una mattina piovosa, ma calda, da inizio giugno. Il tempo, che ancora non si è deciso per l'estate, continua a dar noia con quell'umido fastidioso che accompagna i temporali.
E' un sessantenne con baffi e capelli bianchi, di origini meridionali, ma dall'ormai acquisito accento torinese.
Ausino è noto soprattutto come l'autore di Torino Violenta, un vero e proprio trashcult anni settanta. Un poliziesco dal budget ridottissimo e dal successo strepitoso, che sembra girato per divertimento e che è a tutt'oggi una delle poche pellicole a mantenere la città come sfondo sempre visibile e presente.
Effettonotte online, decisa a proseguire l'approfondimento sulla Torino del cinema, gli ha proposto una chiacchierata informale in un caffè del centro, che pubblichiamo di seguito nell'intento di mantenere vivo il dibattito.
Allora, Carlo, tu sei noto al pubblico soprattutto per il tuo film di più grande successo, Torino Violenta, ma se non sbaglio non è così che hai iniziato, vero?
Prendiamo la vicenda di Nuovo Cinema Paradiso, ambientiamola a Torino ed ecco la storia della mia vita. Per me il cinema era tutto e ancora oggi, se non vedo almeno due film a settimana non sto bene.
La prima patente che ho avuto è stata quella di proiezionista e da ragazzo vendevo le bottiglie del latte che rubavo a mia madre per avere i soldi per andare al cinema. Raccoglievo i fotogrammi che buttavano nelle pattumiere, li facevo diventare delle diapositive e le proiettavo alle mie cinque sorelle, il mio primo pubblico. Secondo quel che avevo trovato mi inventavo la storia, di cui io ero naturalmente il protagonista.
Il mio primo lungometraggio è stato un film di guerra sui partigiani che s'intitola L'ora della pietà, girato in 16 mm per grande schermo, e nato dal sodalizio con Emanuel Cannarsa e altri amici, tutti ragazzi di studio che alla Rollfilm imparavano il mestiere, quarant'anni fa.
Poi ho fatto La Città dell'ultima paura, che nel 1975 aveva vinto il secondo premio al Festival del cinema di Fantascienza di Trieste.
Prima un film di guerra, poi uno di fantascienza e dopo un poliziesco?
Per me è sempre stata una cosa normale, non mi sono mai sentito un regista di genere. Nella mia filmografia mancano solo il musical e la commedia brillante, per il resto, a differenza dei colleghi torinesi ho fatto di tutto.
Comunque, tornando a La Città dell'ultima paura, il film aveva una prima parte a colori, con Torino incasinata e tutte le storie che si intrecciavano, poi una seconda parte completamente angosciante, che è quella della Torino postatomica. Non una Torino distrutta, ma una Torino senza vita, che il protagonista vede perché, quando e successo il fatto, idealmente si trovava in una grotta, a far foto per un libro di speleologia. Dico idealmente, perché nel film non si capisce se questo l'abbia visto veramente o il suo vagare per Torino fosse una specie di sogno.
In questa Torino completamente deserta, lui viaggia nei punti più conosciuti della città e addirittura fa un bagno nudo nella fontana di Piazza Solferino, in un po' d'acqua ferma. Una scena che chiaramente abbiamo dovuto girare alle sette del mattino sennò ci arrestavano. Adesso sarebbe facile con il computer, ma allora…
È stato un lavoraccio, armati di paletta finta bloccavamo il traffico, perché non doveva esserci nessuno e puoi immaginare quanta roba abbiamo buttato perché magari sul più bello passava una cinquecento. Alla fine ci sono voluti due anni. Io sono famoso proprio per questo, i tempi lunghi, anche perché facendo tutto da solo capisci che…
Nella prima parte del film poi avevo inserito, come segno premonitore della catastrofe, alcune sequenze in 16 millimetri dell'incendio dell'Omarus, che avevo filmato come operatore RAI e che avevo tirato in cinemascope. Si tratta di immagini molto belle, ma anche molto tristi, quando, purtroppo, tirano fuori i quattro cadaveri.
Quindi si può dire che il successo al festival di Trieste ti ha aperto la strada.
Ti sembrerà strano ma il film non è mai stato distribuito.
Aveva ricevuto buone critiche, un po' di fama e parecchi articoli sui Cahiers du Cinema, ma allora non esisteva un circuito d'essai con tutto un suo pubblico come accade oggi, per cui nessuno voleva distribuirlo.
Quel periodo però erano appena usciti Roma violenta, Napoli violenta, che avevano incassato bene, così uno di questi distributori mi fa: "Tu dove abiti, Torino? Perché allora non fai Torino violenta."
Al che l'ho guardato in malomodo, ci ho pensato un po' su e gli ho risposto: "Se volete un film così lo faccio, però poi lo distribuite."
Ed è andata proprio così, ho fatto un film con 60 milioni, che oggi potrebbero essere 200 scarsi e che in tre mesi ha fatto un miliardo e ottocento milioni, da ricordare con biglietti da 2000-2500 lire. Solo che il film l'avevo venduto a scatola chiusa e alla fine, invece di 600 milioni ho ripreso i miei e ne ho guadagnati sessanta.
Insomma, hai fatto il tuo film ma chi ci ha guadagnato alla fine è stato il produttore.
C'è un episodio in particolare che mi ricordo. Il mio distributore di Torino mi disse: "A me non daranno mai gli incassi, perché non telefona lei a Bari e Catania per vedere com'era andata?"
Qui a Torino il film usciva il giorno dopo, così telefono a Bari, mi presento e questo: "Dottore! Na meraviglia!"
Io pensavo si riferisse al film e dico "Grazie, ma è andato bene?"
"Eppeqquellochènameraviglia! Abbiamo battuto Airport 77! Abbiamo fatto tre milioni!"
E allora gli chiedo "E son tanti?"
"Tanti? Sono tantissimi!"
Io ho cominciato a sentirmi male, perché il film l'avevo venduto a scatola chiusa. Telefoniamo a Catania questo mi dice che era stato costretto a fare uno spettacolo a mezzanotte, sennò gli bruciavano il locale. E io che stavo sempre più male.
Giorno dopo alle due e mezza il primo spettacolo in contemporanea al Capitol e al Metropol e il primo spettacolo già un casino di gente. E nessuno capiva perché io ero triste!
La domenica poi è successo un record imbattuto ancora adesso, il Capitol fa 12 milioni. Che significa avere la sala sempre esaurita già dal primo spettacolo.
Quella sera ricordo che il direttore del locale prese una bottiglia di champagne e brindammo, mentre io ero sempre più incazzato.
Ma la cosa che mi è dispiaciuta di più è che il distributore non ha approfittato del momento. Io avevo già pensato a Tony e lui invece ha lasciato perdere l'occasione di fare un seguito con cui cavalcare l'onda del successo.
Quando ho fatto Tony, mi dissero che era meno spettacolare, ma più sentito, intimista, solo che ho dovuto aspettare un anno e mezzo e sono stato costretto a farlo con i soldi miei. In più la produzione ha voluto aggiungere un sottotitolo dal richiamo più commerciale, L'altra faccia di Torino violenta, e come se non bastasse tutto combaciava con la nascita delle tv private, era il '78-'79, e allora tutti a casa a vedere la TV.
Un successo del genere per un film che rivisto oggi, sembra fatto un due giorni per puro divertimento.
Era un film che già sapeva di miracoloso, anche perché io non ci credevo. Era stato troppo facile fare un film del genere, ho messo insieme quattro articoli sul giornale e ho inventato la figura del giustiziere, proprio perché non ci credevo. Mi son detto "Per male che vada, gli cambio titolo e lo chiamo che ne so…in un'altra maniera, ora non ricordo."
Mi ricordo però, che andavo in giro ad attaccare le locandine nei bar! E questo è stato lo spunto per qualche giornalista, non ricordo chi, che scrisse: "Se incontrate qualcuno che sta mettendo le locandine di Torino Violenta, chiedetegli l'autografo perché è il regista del film."
Comunque ho cercato di capire il successo del film e devo dire che nel meridione posso capirlo, mi dicevano: "Che bello! Si vede Torino, lì lavorano i parenti…" Ma qui al nord…
Torino Violenta è girato soprattutto in esterni, con tanto di inseguimenti su e giù per la città come nei telefilm Americani. Tuttavia non sembra voler rilanciare una determinata visione di Torino, soprattutto se paragonato ad un film come Profondo Rosso, che rielabora visivamente la città e la ricostruisce attraverso uno sguardo visionario e allucinato, o come Trevico-Torino di Ettore Scola, che dipinge una Torino fredda e indifferente.
Assolutamente. E poi non sono così d'accordo con quello che dici.
Vedi io ho imparato, a contatto con critici e giornalisti, che la gente che parla di cinema ha una visione tutta sua e che se uno riesce a sapere prima le sue idee, gliele può appoggiare. E questo succede in tutte le situazioni.
In Torino Violenta ho deciso di evitare le immagini della Torino tipica di cui mi dicevano che sembrava un documentario. Io non mi sono mai preoccupato di rendere una visione negativa della città o cos'altro, semplicemente non me ne sono mai fregato nulla.
Ti faccio un esempio a proposito di Argento. Parlando di Non ho sonno, la Tornabuoni, che farebbe bene a smettere, scrive "Torino mai così ben fotografata."
Film più brutto e mal fotografato come quello non l'ho mai visto, perché Torino non si riconosce! C'è la stazione Satti con inquadrate le gambe degli stativi, Dionisi che scende da un'auto con l'asta del microfono riflessa sul parabrezza, il tram 10, di notte, in cui si vedono tutte le pinze messe sul mancorrente. Dico, avevate un operatore cieco!
Forse la mia domanda potrà sembrarti provocatoria, ma come mai in pieni anni settanta hai scelto di girare un film di genere? Non sentivi l'urgenza di raccontare quello che stava accadendo, dalla minaccia terrorista alle lotte sindacali a Mirafori ad esempio, oppure preferivi esprimerti mascherando la tua posizione dietro allegorie già collaudate, come il poliziesco ambientato nei bassifondi?
Non ho scelto un film politico perché io non credo molto alla politica e poi si trattava di una cosa che facevano un po' tutti. Ti ho spiegato che si trattava di un film su commissione.
Il senso di quel film era dimostrare di essere in grado di fare determinate cose e nello stesso tempo crearsi un'indipendenza. Se allora fosse stato di moda il western, avrei fatto L'ultimo dei Mohicani ambientato a Bardonecchia. Per cui non si trattava di una scelta politica, perché non amavo le etichette, l'ho fatto proprio per dimostrare che potevo fare qualsiasi cosa.
Ad esmpio, tre anni fa un mio corto, Racconto di Natale, ha inaugurato il Torino Film Festival. Mi è venuta l'idea del corto e ne è uscita fuori una storia alla Walt Disney su di un barbone che salva una ragazza che vuol suicidarsi buttandosi nel Po, diciotto minuti con solo musica e suoni d'ambiente, senza una parola.
A parte gli esempi che ho citato prima, i film girati a Torino in quegli anni potevano contarsi sulle dita di una mano, cosa significava allora, fare un film nella Città dell'Automobile?
Allora a Torino si faceva poca fiction, che non si chiamava nemmeno così e quando facevi qualcosa l'attenzione era tutta su di te. Io uscivo dalla televisione, dal 1969 al '75 ho fatto l'operatore per i telegiornali del Piemonte ed è così che mi sono fatto le ossa per quello che riguardava la macchina da presa. Allora si andava in giro con una 16mm con pellicola invertibile, quindi non si poteva sbagliare l'esposizione, perché sennò erano guai.
Regista non si diventa da un giorno all'altro, e dico, se volete fare cinema il regista deve essere il deus ex machina della situazione. Questa è una dote rara, oggi soprattutto, con tutti questi festival che non fanno altro che alimentare le illusioni di ragazzi senza preparazione e per di più narcisisti.
Ancora adesso non saprei dire cosa sia nato prima, se le "opere" per questi festival o i festival per questo tipo di "opere".
Prima nei cineclub non si vedevano cosa come quelle che passano a Spazio Torino, di cui ero in giuria qualche anno fa. Il confronto con allora non esiste.
Che mi dici allora della Torino di oggi, in cui le istituzioni si affannano nel rilanciare una tradizione cinematografica che forse non è mai nemmeno esistita?
A questa domanda preferirei non rispondere. È una cosa con cui sono un po' in conflitto e rischierei di fare una polemica inutile.
Il mese scorso alla proiezione di Torino Violenta ho visto il trailer del tuo ultimo film, Sahara Killing, hai voglia di parlarne?
Sahara Killing è la storia di uno studio fotografico torinese a cui vengono commissionati dei servizi di moda da fare in Tunisia. Questo viaggio tranquillo in un luogo esotico si tramuta in un viaggio da incubo, perché le persone che sono partite sono state in qualche modo scelte da qualcuno che ha voluto che fossero loro ad andare lì. È un intrigo un po' alla Agatha Christie, in cui qualcuno che ha meditato una bella vendetta. Dopo un po' ci si ritrova con situazioni mortali, all'inizio fatte passare come incidenti e che dovrebbero trasformare i personaggi in una specie di gregge che sente il pericolo ma non sa da dove arriva.
Il finale nessuno lo conosce, nemmeno chi lo dovrà interpretare, né chi sia veramente l'autore di tutto questo. Siamo al 50% del film, interamente autoprodotto come sempre, che spero di finire quanto prima.
Filmografia
L'ORA DELLA PIETÀ
Italia, 1973
LA CITTÀ DELL’ULTIMA PAURA
Italia, 1975
PRIMA CHE IL SOLE TRAMONTI
Italia, 1976
TORINO VIOLENTA
Italia, 1977
INVASIONE
Italia, 1978
TONY, L'ALTRA FACCIA DELLA TORINO VIOLENTA
Italia, 1980
LA VILLA DELLE ANIME MALEDETTE
Italia, 1983
SENZA SCRUPOLI 2
Italia, 1990
NEBUNEFF
Italia, 1994