Godard “grande umorista”: legami con Pirandello
di Massimo Olivero
Il cinema di Godard è fatto di intuizioni, costruito come un insieme di frammenti, di aforismi illuminanti; egli invita il pubblico a costruire mentalmente un film altro dal suo, più ricco e completo, donando suggestioni da meditare, ed in seguito rimodellare. In tutte le opere che ho scritto, ho messo dentro anima e corpo: non so che cosa siano problemi puramente intellettuali. È Nietzsche,un altro pensatore inattuale, ma non vi sembra di sentir parlare Godard? Le difficoltà incontrate dalla maggioranza degli spettatori di fronte alle opere di Godard sono dovute alla loro discontinuità, rotture di tono e cambiamenti di ritmo (come notava Lui stesso in seguito all'insuccesso di Une Femme est Une Femme).
1) Interpretare i suoi film comporta una capacità di mettere in discussione certezze acquisite e accettare il dubbio come elemento costante di riflessione.
2) Il suo cinema è tensione, ricerca estrema destinata a non concretizzarsi mai in un sistema di orizzonti limitati.
Da queste idee deriva un percorso filmografico aperto alle più disparate sperimentazioni, intimamente legato dalla passione per la scoperta delle potenzialità del mezzo cinematografico e delle sue possibilità di riproduzione del reale. Tali sono in sostanza le verità provvisorie e i presupposti di metodo sui quali da anni lavora. Il suo cinema è impermeabile ad una definizione conclusiva ed esaustiva, perchè deriva da una pluralità di significati e di direzioni di ricerca non assimilabili univocamente, obbligando ad un continuo lavoro di rilettura coloro che decidono di confrontarsi col suo percorso artistico.
"Quel che colpisce nella sua opera è una sorta d'intercomunicabilità a lungo raggio tra un genere e l'altro. Poesie, novelle, romanzi, commedie e drammi[…], libretti d'opera, saggi […] come un vasto terreno su cui scorrono canali di irrigazione: le terre della fantasia vengono alimentate da acquazzoni filosofici o pensieri polemici, temi insistenti e "concetti" che rimbalzano come palle elastiche da un' opera all'altra, a volte con le stesse parole e non sempre personali" (1). Queste parole si riferiscono a Pirandello, ma possono servire a definire le modalità stilistiche-esplicative del cinema di Godard. Se Pirandello riporta continuamente nei suoi scritti "frasi di Binet, di Seailles, di Blondel", Godard cita suoi autori di riferimento come Brecht, Rimbaud, Celine… Ciò si ripete in ogni suo film fino al parossismo della citazione presente in Nouvelle vague.
Egli compone e scompone: mette un tassello in un punto, e lo utilizza tale e quale in un altro. Costruisce, sembra soddisfatto, ma poi con gli stessi materiali, sbozzati diversamente e diversamente collocati, ricomincia un'altra costruzione. E' un grande cantiere ove non si ha mai riposo come in Balzac (2). Il cantiere godardiano contiene materiali sui quali spesso ritorna, ricostruisce: il gangster movie, la prostituzione,riviste e manifesti pubblicitari, le nuvole, filosofi nei bistrot, sangue di color rosso, Beethoven…
[…]Pirandello è un grosso artigiano che tende al risparmio, al bricolage, a tirare sulle spese, e poco bada a rifinire i suoi prodotti […]Questo procedere in un moto quasi circolare, aggiratesi su se stesso, impedisce alla produzione pirandelliana un vero e proprio regime di crisi.[…]Il suo rifiuto della "letteratura"lo portava fuori dell'ambizione dell'opera unica (3). Potremmo quindi accettare il paragone con Pirandello vedendo Godard come uno dei pochi autori che non è partito da un'idea astratta di Cinema per arrivare al Capolavoro, ma che, attraverso un percorso di ricerca, ha delineato sempre meglio i confini di un'idea (il Cinema) destinata, altrimenti, a rimanere indefinibile.
"L'imperfezione stessa di questi prodotti dà alla sua opera in progress una paradossale garanzia di continuità e di apertura. Ogni opera si mostrava come campo fecondo per il futuro stesso della produzione, in una serie di rapporti su cui l'autore stesso insisteva non senza civetteria, giovandosi degli indiscutibili vantaggi della ripetizione.[…] egli costruiva "l'isola Pirandello" con una sua monotonia nella diversità, insistendo sui luoghi fissi […] su temi, modi, che si trasmettono come per creare un clima ed un'ossessione.[…] Niente in questi oggetti fa pensare al "senso del compiuto". Tutti lasciano un'apertura: una possibilità di sviluppo. Il discorso continua." (4).
La capacità godardiana di costruire film-isola, al contempo legati all'interno di un "work in progress" è il segreto di una inarrestabile prolificità: film che si riproducono attraverso affinità e contraddizioni, che utilizzano stili diversi (saggistico, giornalistico, contaminazione dei generi). Film che strutturano come versi le immagini, i dialoghi, le musiche, le didascalie attraverso figure retoriche come anafora e chiasmo (da Une Histoire d'eau a Eloge de l'Amour, passando per Le Mèpris e Allemagne Neuf Zèro).
I. Il distacco dal modello classico (5)
Molteplici sono i punti in comune fra la poetica dell'umorismo di Pirandello e il cinema di Godard. Il graduale e costante distacco dal modello classico è il primo. Nel cinema godardiano si relativizza il mondo degli ideali hollywoodiani non rinunciandovi, ma non indicandoli più come criterio di verità. Il mito, la verità oggettiva, la soggettività forte del regista che ricompone in unità una realtà fortemente contraddittoria vengono corrose dalla poetica dell'umorismo.
In un classico hollywoodiano, pensiamo alle commedie di Cukor o Capra o ai western di Hawks e Ford, il potere di un "eroe" in grado di dare senso al mondo e alla propria vita, i suoi valori, i suoi ideali risultano sempre vincenti. La modernità, vera Rivoluzione Copernicana, mina le certezze col dubbio, col relativismo e l'assenza di significati. I film che aveva amato da critico divengono materiali da rielaborare.
Ne Le mépris, per esempio, il cinema dei padri, incarnato da Lang, deve convivere col suo opposto, il nascente cinema della modernità, in un contrasto che non si risolve mediante una sintesi, ma resta drammaticamente aperto. In questo film si vengono a scontrare personaggi che seguono ancora i canoni dell'arte classica (Lang e Camille), eroi integri, coerenti e univoci, un unico superiore punto di vista, quello della verità e della bellezza, e un personaggio come Paul, figura moderna dominato dalla coscienza dello sdoppiamento e dalla condizione consapevole della sua parzialità e relatività.
II.La sfiducia nella narrazione lineare
"Un film deve avere un inizio, un centro e una fine, ma non necessariamente in quest'ordine". Con questa frase Godard riprende la pirandelliana sfiducia nei confronti della scrittura e messa in scena lineare, coerente e omogenea, di una narrazione costruita secondo le regole della verosimiglianza in cui convergono tutte le illusioni sul dare un senso alla vita. Il cinema di Godard infatti è proteso verso il compromesso, prima, e verso un continuo distacco, poi, dalla costrizione di una trama organica, e persegue l'idea di un cinema basato sulla digressione; essa viene eletta manifesto di una nuova libertà di raccontare, di esprimere tutto nello stesso tempo, come vediamo a partire da Une Histoire d'eau, cortometraggio del 1958. La ragazza del film, in uno dei dialoghi, spesso recitati in rima, spiega come interrogata su Petrarca parlò per tre quarti d'ora di Matisse dato che l'essenza dell'arte di Petrarca è la digressione. In seguito essa caratterizzerà il suo cinema determinando la struttura aperta e sconnessa di opere quali Bande à part o Made in USA.
Per Godard, infatti, la digressione non è solo un espediente formale, ma possiede una dimensione conoscitiva indispensabile per arrivare al centro vitale di ogni pensiero e opera d'arte. Lo spostamento di prospettiva, di sguardo, che si viene a creare con questo procedimento permette di arrivare a un tipo di comprensione più profonda e completa.
III.L'importanza della riflessione
La riflessione s'insinua acuta e sottile dappertutto e tutto scopre: ogni immagine del sentimento,ogni forma ideale, ogni apparenza della realtà, ogni illusione (6). Per Pirandello la riflessione è l'arma con cui indagare gli aspetti sconnessi del reale; produce un'azione raffreddante che mitiga il sentimento ottenendo, con la dissociazione dall'evento, una presa di distanza. Con essa subentra la scomposizione critica, l' autoriflessività dei personaggi e delle opere stesse, la sovrapposizione di linguaggi diversi. Pirandello descrive un catalogo di maschere spesso nude che, acquisendo consapevolezza sulla propria natura, colgono l'illusione altrui del ritenersi persone.
Anche Godard giunge alle stesse considerazioni in Le petit soldat:
per me il tempo dell'azione è passato. Sono invecchiato. Comincia il tempo della riflessione. Già l'incipit esprime tutto il senso della "modernità nell'arte" ed è in emblematica aderenza alla "poetica dell'umorismo" di Pirandello. Giustamente Farassino nota che per Godard questa è solo una dichiarazione d'intenti: la distanza nel tempo è ancora emozione e turbamento della memoria. La riflessione è ancora un progetto più che un risultato. E Godard non riesce ancora a fingersi vecchio (7).
Bruno Forestier, il protagonista, è a tutti gli effetti la prima incarnazione nel cinema di Godard del "personaggio" secondo Pirandello.In lui la condizione di estraneità si manifesta sia nei confronti della lotta politica e delle istituzioni sociali, che della propria soggettività. Bruno recide ogni legame vitale con il mondo limitandosi a osservare ciò che gli accade intorno, cercando di capire, di dare senso alla propria confusione.
Nella sua dimensione personale al vivere subentra il vedersi vivere, l'autoriflessività sostituisce l'immediatezza dell'esperienza e tutto ciò lo induce a un distacco critico-negativo nei propri confronti. Alla fine sembra che il Senso gli sfugga, l'unico modo che gli resta per coglierlo è affidato a una ricerca esclusivamente celebrale. Gli attori li trovo idioti,li disprezzo. Sì è così: gli dici di piangere e piangono,gli dici di camminare a quattro gambe e lo fanno. Lo trovo grottesco. Non so, non è gente libera [...] (8). Farassino qui infatti commenta: il lavoro che Godard conduce sull'attore sarà allora liberarlo dalla sua posizione di subordinazione, farlo intervenire di persona nel film (9).
Per Godard la figura dell'attore tenderà sempre più a coincidere con il personaggio "in cerca d'autore"senza che il regista possa più dargli un ruolo definito e si collocherà sul suo stesso piano, autonomo nei suoi confronti. Nel momento stesso in cui l'attore-personaggio perde coerenza e sicurezza sul ruolo da recitare, acquisisce la consapevolezza di essere una "maschera nuda". Godard coinvolge talmente il suo attore che nel momento in cui recita, egli perde ogni certezza e non sa letteralmente come districarsi; per esempio in Pierrot le fou, Anna Karina lasciata a se stessa, senza dialoghi preparati, urla alla macchina da presa-Godard: "non so cosa fare!". Proprio nel protagonista di questo film, Ferdinand-Pierrot si realizza la figura estrema della riflessione: un personaggio che oscilla fra il tentativo di concretizzare l'idea romantica di un vitalismo primigenio e la consapevolezza della necessità di una distanza critica dal reale che vanifica questo tentativo. Prevale in Lui quest'ultima esigenza che lo induce a non immergersi nel flusso della vita.
IV. L'allegoria moderna (10)
Con Pierrot le fou Godard centra il discorso pirandelliano dell'allegoria moderna. Pierrot infatti è l'emblema dell'atteggiamento allegorico; nel viaggio e nelle situazioni che affronta Ferdinand non riesce ad immettersi nella "naturalezza" dell'esistenza, non aderendo ai suoi significati immediati. Il suo scacco genera una radicale incomprensione degli eventi. L'allegoria del moderno infatti è questo iato incolmabile fra i significati e i significanti che il soggetto può tentare di colmare solo con un' operazione meramente intellettuale (11).
Pierrot eredita la condizione allegorica di estraneità che Bachtin (12) individua nelle maschere tradizionali del buffone, dello sciocco, cioè del Fou. Se l' allegoria classica tentava di dare un significato universale, l'allegorismo moderno, proprio di questo difetta, rimanendo vuoto e incolmabile. Il dramma che racconta Godard, come prima di lui Pirandello, è il dramma gnoseologico della modernità. Pierrot le fou non è quindi l'ultimo film romantico di Godard come la critica è solita definire, sviata anche dalla frase di Godard:
Ho voluto girare la storia dell' ultima coppia romantica, gli ultimi discendenti della Nouvelle Héloise, del Werther e di Ermanno e Dorotea. Rappresenta, invece, la rottura drastica fra il mondo romantico e la poetica dell'umorismo, ponendosi contro ogni aspirazione a un'armonia e a una istintività naturale ed evidenziando l'artificio, lo sdoppiamento, l'aspetto deformato del reale. Tutto ciò è testimoniato dal pirotecnico finale in cui Ferdinand, non mettendosi semplicemente una maschera, oggetto altro da lui, ma dipingendosi il volto di blu si trasforma veramente in Pierrot. La volontà di suicidarsi esprime l'impossibilità di trovare un significato all'esistenza materializzando il concetto di dramma gnoseologico.
Spietatamente Godard sancisce l'impossibilità di colmare il vuoto della conoscenza e di tornare sulla strada del Senso mostrandoci all'ultimo un ripensamento di Ferdinand, del tutto vano. Questa è la figura più rappresentativa dell'idea di allegoria, dell'impossibilità di potere parlare di tragedia. Essa non appartiene all'orizzonte del moderno e non può fare a meno di degradarsi a finzione, follia, gesto assurdo. Godard punisce il tentativo di Ferdinand di tornare a una condizione di ricerca del Senso che non accetta la capacità di astrazione, di lucida follia che lo aveva portato al gesto estremo. Godard raggiunge qui la forma più alta di significazione allegorica, partecipa della distonia come situazione tipica della conoscenza per l'allegorista moderno (Beaudelaire, Pirandello); infatti nel finale, come in tutto il film, è forte il richiamo a Rimbaud, il poeta che inventa tutto, dalla dissociazione dell'io alla deformazione come criterio estetico di rappresentazione nell'arte.
(1) G. MACCHIA, Il gusto della scomposizione in Pirandello o la stanza della tortura, città, Mondadori, 1981, pag. 27
(2) Ivi, pag.28
(3) Ivi, pag. 29
(4) Ivi, pag.31
(5) Vd. come testo di riferimento R. LUPERINI, Introduzione a Pirandello, Bari, Editori Laterza, 1992, pp. 45-56
(6) L .PIRANDELLO, Saggi,poesie e scritti varii,a cura di M. LO VECCHIO MUSTI, Mondadori, Milano,1960,p. 146
(7) A. FARASSINO, Jean-Luc Godard, Milano, Il castoro, 1996, p. 39
(8) Dalla sceneggiatura di Le petit soldat,di J.-L GODARD, 1960
(9) A. FARASSINO, Jean-Luc Godard, Milano, Il castoro, 1996, p.42
(10) Vd. R. LUPERINI, Introduzione a Pirandello, Bari, Editori Laterza, 1992, pp. 88-98
(11) Ivi, p. 55
(12) M. BACHTIN, Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 1997, p. 306: "Essi sono attori della vita, la loro esistenza coincide col loro ruolo, e fuori di questo ruolo essi non esistono.A loro sono intrinseci una peculiarità e un diritto:essere estranei in questo mondo.Essi infatti non solidarizzano con alcuna condizione di vita di questo mondo, da nessuna di esse sono soddisfatti e di tutte vedono il rovescio e la menzogna. Essi possono servirsi di qualsiasi condizione di vita soltanto come di una maschera.[...] il buffone e lo sciocco sono lontani dalle cose di questo mondo..."