David Lynch: nel sogno di chi siamo?
di Federico Bezzi
Je EST un autre [Io E' un altro]
(A.Rimbaud)
Nel sogno di chi siamo?
Viene da chiederselo ogni volta. Ogni volta che un film di David Lynch s'appropria di qualche ora delle nostre vite. Magari capita di distogliere lo sguardo per un attimo, anche uno solo: spostare gli occhi sullo spazio che sta al di fuori dallo schermo. In quel momento può avvenire, talvolta, di non sapere esattamente cosa diavolo si stia facendo. E di non capire esattamente dove diavolo ci si trovi. Come appena risvegliati. Che il sonno abbia davvero avuto la meglio, e tutto ciò che si è visto sia stato "solamente" un sogno? Siamo allora nel nostro sogno?
Lynch ci chiede quanti possibili sogni siano possibili. Ogni suo film è una di queste possibilità. Ogni singola immagine del cinema davidlynchiano chiede vita attraverso la sua visibilità, attraverso il suo essere possibile almeno per un secondo. Il nostro sguardo che distoglie dallo schermo per quel brevissimo attimo contempla la potenziale possibilità di un sogno: la avverte nella differenza tra il nostro esserci, ora, nella nostra vita, fuori dallo schermo, e l'immagine filmica, dentro lo schermo. La avverte ma sembra sfuggirgli di mano: da ciò che sembrava non poter andare oltre la propria univocità dipartono invece differenze inaspettate. Cézanne diceva che "l'arte sa trasformare l'identità nella differenza dell'espressione formale". In questa differenza sta tutta la materia cinematografica con la quale David Lynch plasma le sue opere. La differenza tra reale ed irreale possibile. O meglio ancora, tra reale e non-ancora-reale. In Lynch il sogno è l'altra faccia del nostro esserci, l'incarnarsi in noi di una forma che potremmo essere. Lynch sembra dire proprio questo: noi siamo un cumulo di possibili vite, e nel tempo della nostra esistenza ci ri-troviamo a viverne una. Dove possiamo arrivare? Lungo questa strada, dove siamo diretti? Lynch non si domanda mai da dove siamo partiti, perché per lui una possibilità è di per sé già una partenza. Una nostra partenza. Ciò che lo interessa è il capolinea di questo viaggio, soprattutto perché sa che non esiste alcun capolinea.
[Una storia vera]
Ragazza autostoppista: "Da quant'è che sei in viaggio?"
Alvin Straight: "Praticamente da tutta la vita."
Esiste una fine per ogni possibilità, per ogni possibile vita?
Lynch avverte in ogni storia ciò che di eterno la priva della sua conclusione. Nel cinema davidlynchiano non esiste fine. I suoi finali sono solo la chiusura di una combinazione, pronta a ricombinarsi sotto un altro aspetto. Un altro possibile sogno. La luce abbagliante nel finale di Eraserhead che travolge Henry e la ballerina del termosifone, entrambi con gli occhi chiusi ma forse pronti a riaprirli su un nero che può ri-cominciare ad essere ri-illuminato. Esplicito il finale di The Elephant Man. La conclusione divino-messiniaca di Dune nella quale un pianeta nuovo ed un nuovo imperatore sono solo l'inizio d'una nuova era; la piccola sorella di Paul Atreides esclama:"Tutto questo è possibile perché lui è Kwizach Haderach" ovvero la mano di Dio, demiurgo totale di possibili scenari.
L'agghiacciante chiusura di Velluto blu, in un'atmosfera luminosa di ri-trovata serenità, con il sorriso inquietante di Dorothy Vallens che abbraccia il figlio ma sembra sapere che tutto può cambiare di nuovo. Nel romantico finale di Cuore selvaggio, la ripresa circolare (continuata per tutti i titoli di coda), con Sailor che canta a Lula "Love me Tender", promessa di amore eterno tra i due, dà la sensazione di un'infinità che pare non doversi chiudere mai. Allo stesso modo in Fuoco cammina con me Laura Palmer sorride verso la luce di un angelo, vestita e truccata elegantemente come mai la si era vista: un nuovo diverso inizio sembra attenderla, un'altra possibile vita. I due fratelli Straight in Una storia vera, che si ritrovano dopo tanti anni alla fine di una lunga strada; contemplano assieme un cielo stellato che sa di eterno, e di cui ogni stella sembra rimandare ad un'altra possibile esistenza, un altro possibile abbraccio, un altro possibile mondo. La circolarità con la quale si chiude Strade Perdute, nel quale si vede Fred suonare al citofono di casa sua e dire (a sé stesso) che "Dick Lorrain è morto", la stessa cosa che lui stesso aveva sentito dall'altra parte del citofono nell'inizio del film: la storia finisce iniziando ed inizia finendo, forse non è mai iniziata e forse non finirà mai. Diane che si suicida alla fine di Mulholland Drive, e subito si ritrova sorridente e luminosa con l'amata Camilla, forse per sempre, forse più probabilmente per una nuova interpretazione, con nomi diversi, Diane diviene Betty, Camilla diviene Rita. E nel finale, la vecchia donna del teatro che pronuncia "Silencio!" (nome dello stesso teatro) sembra lanciare un invito a ricominciare tutto da capo: dal silenzio rinasce il rumore che diverrà nuova storia.
Paul Klee diceva che "l'arte si pone su quel confine di possibilità che è lo spazio-tempo tra i morti e i non-nati; cioè il luogo-tempo estetico della possibilità assoluta, della possibilità nella sua purezza." Nel cinema di Lynch ogni esistenza vive al confine con la sua non-esistenza. Ogni realtà vive al confine con la propria non-realtà, ovvero con il suo possibile doppio, il suo possibile sogno. Per Lynch non c'è alcuna distinzione tra reale e sognato. Nel reale è già inscritto il suo negativo. E in questo modo ogni fine non è altro che un nuovo inizio, l'incarnarsi di un nuovo possibile.
[The Elephant Man]
Finale. Madre di John Merrick, l'Uomo-Elefante: "Oh, mai, niente morirà mai. L'acqua scorre, il vento soffia, la nuvola fugge, il cuore batte…Niente muore."
Nell'universo davidlynchano gli opposti vivono come tali in uno stesso segno, all'interno della stessa immagine: la realtà appare così ir-reale. E' questa la principale sensazione che provocano i suoi film. Ogni immagine è un caos di apparenze, di cui Lynch tramuta in immagini le vibrazioni, quella vibrazione di apparenze che è la genesi delle cose (M. Merleau-Ponty). Il concetto di doppio è esattamente questa incrinatura d'apparenze, questa ubiquità di possibile che si cela dietro ogni forma. Il Goljàdkin dostoevskijano de Il sosia creava il proprio alter-ego fornendolo di tutte le qualità che lui non possedeva: una altra sua possibilità di essere. Due possibili-Io sono presenti nella stessa persona, di conseguenza la coscienza si sdoppia, ed il doppio creato è espulso all'esterno. Uno dei due Io varca il limite spazio-soggettivo del personaggio e s'immette nel reale dell'altro. Allo stesso modo succede nella realtà davidlynchiana: il doppio rende il possibile d'un parallelo. In Lynch è sempre sottolineato un contatto con altre realtà, con altri mondi, al di fuori del prettamente mondano. Per questo Lynch ci chiede, e chiede a sé stesso, quante diverse possibilità stanno dietro ad una visione.
Il doppio segna materialmente l'evidenza di due apparenze, rendendo l'un l'altra allo stesso tempo nulle ed infinite. Nulle perché entrambe perdono l'unicità della propria materia, morendo come forme stabili. Infinite perché nella menzogna che sono l'una dell'altra mostrano un orizzonte di altri possibili doppi. In Lynch il doppio significa crisi del reale: il suo cinema è un attentato alla veglia. Ogni immagine sembra mentire a sé stessa, quasi sapesse, l'immagine, della propria falsa apparenza. Il doppio è presente nella cugina di Laura Palmer, Madeline, sosia bruno della ragazza uccisa nel serial Twin Peakes, o nell dualismo tra Strega Buona e Strega Cattiva, e tra Perdita Durango e l'assassina con la protesi alla gamba in Cuore selvaggio. Ed in Velluto blu la bionda e per bene Sandy sembra essere l'esatto doppione opposto della mora e sensuale Dorothy Vallens; quando Jeffrey entra nelle grinfie del diabolico Frank, quest'ultimo dice al ragazzo "Tu sei come me". E se in questi esempi la doppiezza è solo suggerita metaforicamente, incarnata in personaggi apparentemente separati, è negli ultimi due film, Strade Perdute e Mulholland Drive, che si raggiunge l'apice dell'enigmatica visione davidlynchiana.
In Strade Perdute si vedono i due protagonisti perdere completamente l'unicità pragmatica del personaggio: Fred tramuta in Pete, la moglie Renèe diviene Alice. Due universi paralleli che sembrerebbero separati, si rivelano invece contigui, intrecciati, confusi tra loro. E come il Goljàdkin de Il sosia di Dostoevskij creava il suo alter-ego fornendolo delle caratteristiche che a lui difettavano, così Fred, impotente a letto con la moglie Renèe, di cui sospetta l'adulterio, sembra trasformarsi nel giovane e sessualmente energico Pete, capace di sedurre Alice (il doppio di Renèe). Le ultime battute del film mostrano un Fred inseguito dalla polizia, che urla e si dimena follemente al volante. Lo squilibrio l'ha portato oltre, in un'altra esistenza: in una è un uxoricida, nell'altra uccide l'uomo che si scopava sua moglie. Il passaggio da una dimensione all'altra è possibile perché in realtà sono la stessa forma sotto diverse apparenze. Il grimaldello che accompagna il districarsi delle due diverse possibilità è quell'uomo misterioso dal volto bianco e le labbra nere (quasi un negativo dell'immagine standard): è la presenza del lato oscuro, il volto celato dell'altro mondo. Domina lo spazio-tempo di entrambe, può essere qui e altrove ("Sono a casa tua in questo istante"), è presente in ogni figura, dietro ogni immagine. E' la follia dell'ombra come potenza ideatrice del possibile. (…)Precipitò definitivamente nell'oblio…quando poi tornò in sé, vide che i cavalli lo trasportavano per una via sconosciuta. A destra e a sinistra nereggiavano foreste; tutto era ignoto e remoto, deserto. A un tratto si sentì venir meno: nel buio lo fissavano due occhi e quei due occhi scintillavano d'una gioia sinistra, infernale. Quello non era Krestjan Ivànovic! Chi era? O era lui?Era Krestjan Ivànovic, ma non quello di prima, era un altro Krestjan Ivànovic! Era un orrendo Krestjan Ivànovic!... (F.Dostoevskij, Il sosia).
Anche in Mulholland Drive le due protagoniste si sdoppiano: Diane è Betty, Rita è Camilla. Si incontrano e scontrano in diverse realtà: trovata la scatola blu (passaggio verso un'altra dimensione) i loro ruoli tramutano, la storia intreccia con la trama seguente, tutto si confonde in una nuova possibilità nata sulle tracce della vecchia. Ancora una volta le carte vengono mescolate, i segni nascosti: quando Betty e Rita scoprano il cadavere di Diane Selwyn, un nome emerso dalla memoria di Rita, eco di quella dimensione parallela in cui entrambe si ritroveranno, le possibilità delle due storie si intersecano. Betty/Diane è di fronte al suo stesso cadavere. Le due donne corrono fuori dal villino, e l'inquadratura in primo piano sulle loro facce angosciate traballa, quasi cedesse, troppo vicina al confine con l'altro lato dell'immagine, con l'altra riga della storia (allo stesso modo funziona, nelle ultime battute del film, la visione in soggettiva di Diane che non riesce a mettersi stabilmente a fuoco; anche in Strade perdute).
In Mulholland Drive Lynch inscrive sdoppiamenti ulteriori, falle dove la forma stessa dei personaggi non si tiene più assieme, e le possibilità moltiplicano, tutte sullo stesso piano: quella Camilla Rhodes che non è né la vera Camilla Rhodes né Rita, ma è un doppio di entrambe e di Diane/Betty stessa. Un doppione androide che sbilancia ulteriormente le coordinate del reale, e che riecheggia anche nel cambio di pettinatura deciso da Rita (da mora a bionda, proprio come Renèe-mora che tramuta in Alice-bionda in Strade perdute). Mulholand Drive è un baratro a spirale che continua a vorticare senza risolversi mai, perché mai potrebbe farlo. Un possibile non muore, diviene semplicemente altro possibile. Il cinema di Lynch vive di queste differenze possibili; nell'identità il suo cinema non esisterebbe. (…)Poiché capivo che la morte non accade una volta sola nella vita, ma al contrario, dal tempo della fanciullezza, già più di una volta io ero morto. (M.Proust, Il Tempo Ritrovato).
E ancora una volta allora viene da chiedersi dove possiamo arrivare lungo questa strada. Cosa possiamo essere, se possiamo essere qualsiasi im-possibile? Cosa siamo se non la possibilità di essere e non essere più la stessa possibilità, ma un'altra, e poi un'altra ancora?
[Strade perdute]
Uomo misterioso: "In oriente, nel lontano oriente, quando qualcuno è condannato a morte lo mandano dove è impossibile fuggire, dove non può sapere quando il carnefice gli arriverà alle spalle e gli piazzerà una pallottola nella nuca"
Già in Eraserhead c'era la radice di questo "continuum indefinito" (M.Chion) che è la forma davidlynchana, la materia della realtà, perennemente fuori equilibrio ad ogni apparire. Il cervello del protagonista di Eraserhead viene utilizzato da una fabbrica per produrre quei gommini posti sulle matite, che servono per cancellare quello che si è scritto. Con una punta si traccia una riga, con l'altra la si cancella: ciò che rimane è la possibilità della forma di ritornare e andarsene di nuovo. La forma potenziale resta, è presente anche se non c'è segno: quel bianco del foglio è il terreno delle possibilità, sul quale un segno è possibile e può non esserlo più. E' come il "silencio" di Mulholland Drive, dal quale può ri-nascere il rumore, il suono, e nel quale rumore e suono tornano continuamente.
Nello stesso Eraserhead la traccia sonora è utilizzata da Lynch in maniera mirabile: rumori indecifrabili, sbuffi, fischi industriali che dipanano misteriosamente dall'immagine, e sembrano rimandare a qualcosa di diverso da ciò che si vede sullo schermo. Come se dietro l'apparenza del visto esistesse dell'altro: Lynch sottolinea qui la possibilità parallela di un'altra dimensione attraverso lo straniamento percettivo del suono. E quando, nel passaggio da un'immagine all'altra, il suono è interrotto senza sfumature, reciso a metà, si ha la sensazione che questo continui da qualche altra parte: la possibilità non muore, diviene possibilità in un altro contesto, in un altro mondo. Simili stilemi davidlynchani si ritroveranno ad esempio anche in Fuoco cammina con me.
Come dal silenzio nasce il suono, così dall'ombra nasce l'immagine. Lynch, è ben noto, prima di diventare regista ebbe velleità pittoriche. Ed i suoi film possono ben considerarsi dei dipinti in moto di struggente espressionismo. E' nella conformazione stessa della luce che Lynch inserisce il suo doppio, l'ombra, ed è nella stessa ombra che tornisce la forma delle sue luci. Più sopra dicevamo che l'immagine davidlynchana mente sé stessa: non è mai solamente ciò che appare, è un immagine instabile, doppia, ambigua. Ha inscritto nella sua stessa forma il proprio negativo.
Emblematica sotto questo punto di vista è la prima apparizione di Sandy in Velluto blu, il suo emergere dal buio. Una voce di ragazza chiama Jeffrey, ma il ragazzo non vede nessuno: l'immagine nera del buio domina lo schermo per lunghi attimi, ben oltre il consueto. Poi, lentamente, Sandy compare dall'ombra, quasi evocata alla presenza del suo esserci, immersa in una visibilità che incrina i segni della rappresentazione. In questa immagine è pericolosamente avvertibile lo scuro di quel chiaroscuro che solitamente rimane celato, come supporto all'immagine vista nella sua presenza. Qui sia la luce che l'ombra segnano ognuna una presenza, quindi due presenze distinte, due immagine sovrapposte. Delle due di solito noi tendiamo a tenere in considerazione solo il segno positivo, ovvero la luce. Lynch dà invece significato all'oscuro. Ci suggerisce di guardare anche l'altra faccia della semiotica visuale: trasforma la visione abitudinaria in visione doppia. Ovvero moltiplica le possibilità della forma. Il gioco primordiale di luce/ombra essere/non-essere avviene molto spesso anche in Strade perdute: sin dalla bellissima apertura, dove la figura di Fred emerge dal buio illuminata fiocamente dal tiro della sigaretta che sta fumando. Ma già nei titoli di testa, quella strada completamente buia illuminata dai fari dell'auto che la sta percorrendo. E in molte sequenze del film si può seguire un Fred disorientato andare e venire continuamente dal buio, specchiarsi nell'oscurità, assistere incredulo alle sue fattezze, o alle fattezze di una moglie mostruosa (quelle dell'uomo misterioso).
La strada buia "scavata" dai fari dell'auto era già in Cuore selvaggio, nell'episodio dell'incidente stradale, e ci sarà nell'incipit di Mulholland Drive. La strada è il percorso, il districarsi della possibilità, il prende forma del possibile: Cuore selvaggio è un road-movie; Una storia vera è il viaggio lungo una strada che è tragitto dell'esistenza stessa, dalla vita sino alla morte, dove tutto ricomincia in una nuova possibilità, dove due fratelli possono tornare finalmente insieme, da capo; Strade perdute e Mulholland Drive proseguono ed intensificano questa similitudine esistenziale, confondendo le tracce del battistrada, segnando la molteplicità delle possibili vie. Ma anche Velluto blu può essere visto come un percorso iniziatico del giovane Jeffrey verso la vita, il progressivo prendere coscienza dell'esistere, del lato oscuro che viene alla luce nella propria attuabilità. Lo stesso vale per la Laura Palmer di Fuoco cammina con me, e per il Paul Atreides di Dune.
In The Elephant Man l'emersione di una forma dal buio è quanto mai sintomatica (esaltata dal magistrale bianco e nero di Freddie Francis): John Merrick rimane nascosto allo spettatore per tutta la parte iniziale del film. Celato nell'oscurità, dietro tende, o sotto un cencio sporco, la sua figura stenta a definirsi, fugge dalla curiosità della propria apparenza, fino a svelarsi all'improvviso in tutta la sua deforme mostruosità ad una ignara infermiera. Ma la scena più bella e significativa è il primo incontro tra il dottor Treves e l'uomo elefante: in una stanza poco illuminata, il dottore vede muoversi nell'oscurità le forme mostruose di qualcosa che noi possiamo solo scorgere di sfuggita. Abbiamo la sensazione di una materia orrenda covata nel buio, pronta a nascere come im-possibile de-formità. Treves contempla questa dis-umana apparenza, e la sua commozione è la prova più struggente della vertigine di fronte a qualcosa che non si credeva possibile, di fronte a una forma, una mostruosità fino ad allora ignorata.
In Lynch l'aspetto mostruoso-deforme può essere considerato una delle caratteristiche peculiari del suo cinema, linea di congiunzione tra possibilità e im-possibilità. Sin dall'orrendo neonato di Eraserhead, creatura nata dall'incubo in cui pare ritrovarsi il protagonista; la donna con la protesi alla gamba e le tre obese nude ed ubriache in Cuore selvaggio; i nani presenti nella maggior parte dei film e telefilm; il raccapricciante volto del barone Harkonnen in Dune. Ci si può poi spingere oltre, vedere il deforme, l'oscuro raggelante celato nella forma del reale, e notare come sotto questo aspetto gli insetti rappresentino per Lynch tale ignara mostruosità. L'esempio più immediato è quello dell'incipit di Velluto blu, dove al di sotto dell'erbetta ben curata di una gioiosa cittadina, viene mostrato un universo oscuro in cui si dimenano insetti raccapriccianti. E nel finale dello stesso film, il pettirosso simbolo d'amore tiene nel becco uno scarabeo che agita malignamente le zampe. In Cuore selvaggio, Lula racconta a Sailor del cugino ritardato che era solito mettersi degli scarafaggi nelle mutande, e che una volta aveva persino tentato di infilarsene uno nell'ano. In Dune gli enormi vermi che strisciano al di sotto della superficie. Ed in Strade perdute c'è una sequenza in cui Pete comincia a vedere nella stanza ragni, falene ed insetti vari che prima non aveva notato.
Il mostruoso ed il deforme sono l'anomalia del possibile, il volto sfigurato della rappresentazione, l'imperfetto celato della forma. Mentre un mattino Gregor Samsa si veniva svegliando da sogni agitati, nel proprio letto egli si trovò mutato in un insetto mostruoso (…)"Cosa mi è successo?" pensò. Non era un sogno. (F.Kafka, La metamorfosi).
Abbiamo visto che anche nella struttura narrativa Lynch significa il suo universo come crogiuolo di possibilità parallele, come caos di apparenze multiple. Da questo punto di vista, la serialità a lunga portata che gli è stata permessa con un telefilm come Twin Peakes risulta essere la soluzione che più si avvicina alla sua concezione cinematografica. Nell'estrema lunghezza di un telefilm a puntate le possibilità del reale possono essere distese a dismisura: fioriscono personaggi, scenari, si intersecano vite, aleggiano misteri, visioni, profezie. Ma se tanto materiale in un film non ci sta, nella sua opera cinematografica Lynch non rinuncia comunque alla molteplicità del possibile. Mullholland Drive ne è l'esempio più calzante: nato come serial televisivo, Lynch ha dovuto trasformarlo in un film da poco più di due ore, comprimendo personaggi, intrecci e vicende. Il risultato è un universo straniato, dove la molteplicità del possibile è addirittura sovraffollata e soprattutto mai risolta. Ci sono una miriade di personaggi (il Cowboy, il magnate nano sulla sedia a rotelle, il barbone del vicolo, la stessa vecchia del teatro, ecc.) che compaiono e spariscono nel nulla, senza ulteriori spiegazioni, ma che lasciando la traccia del loro passaggio, della loro presenza divenuta possibile. Narrazioni interrotte, possibili deviati su binari morti che portano altrove, secondo lo stesso principio estetico dei cuts improvvisi di suono da immagine ad immagine in Eraserhead.
David Lynch è contrasto, differenza, instabilità: nell'immagine, nel suono, nel narrato. Nella vita reale. Nel sogno di chiunque siamo, anche fossimo nel nostro. Un'instabilità infinita, che continuamente cede per poi rinascere quale principio di ogni possibile. Come un fuoco eterno, che tutto crea e tutto distrugge, fiamma di vita e pira funebre allo stesso tempo. Il simbolo del fuoco percorre praticamente tutta la cinematografia davidlynchana: dalla prova del dolore di Paul Atreides in Dune, ai capanni incendiati in Strade perdute e in Una storia vera (dove tra l'altro i nipotini di Alvin Straight sono morti in un incendio), fino al più significativo Fuoco cammina con me, o in Twin Peaks (la segheria Packard data alle fiamme). Cuore selvaggio è interamente sostenuto dalla presenza costante del fuoco, sia in immagini che in vicende (il padre di Lula è stato bruciato vivo, assieme alla loro casa). Il cinema di Lynch sta anche in questa materialità ignea che è luce ed ombra allo stesso tempo, che è essere e non-essere, principio e fine uniti nella potenza delle fiamme. Siete pronti a venir cancellati/ raschiati via, soppressi/ ridotti a nulla?/ Siete pronti ad essere ridotti/ a nulla, ad essere immersi/ nell'oblio?/ Se no, non cambierete mai davvero./ La fenice rinnova la sua giovinezza/ soltanto quando è arsa, arsa viva/ arsa sino ad essere calda, fioccosa/ cenere. Allora il piccolo agitarsi/ di un nuovo piccolo nato/ nel nido con fili di lanugine come cenere/ fluttuante/ mostra che lei sta rinnovando/ la sua giovinezza come fa l'aquila,/ alato immortale. (D.H.Lawrence, Fenice).
[Fuoco cammina con me]
La donna del ceppo: "Quando si accende un fuoco simile a questo è molto difficile spegnerlo. Gli esili rami dell'innocenza bruciano per primi. Poi si leva il vento, e allora tutto il bene che uno a dentro è in pericolo."
Nel sogno non c'è controllo codificato. La logicità di ogni segno salta, le coordinate di qualsiasi nostra costruzione linguistico-espressiva si confondono. Anche il tempo non è quello della realtà. In Lynch, l'abbiamo già sottolineato, il sogno è la traccia del possibile, è il parallelo potenziale di un'altra possibilità. Nel sogno Lynch fa convergere il principio motore dell'attuazione di ogni esistere. Nel sogno la possibilità diviene feconda, lo sguardo può aprirsi su ciò che non è ancora possibile, o su ciò che si crede im-possibile. E si va talmente a fondo in questa sorta di inferno onirico che la distinzione mondana tra reale e sognato non è più apparentemente distinguibile. Il sogno diviene realtà (lo dice esplicitamente Paul Atreides in Dune), il possibile prima solo intravisto si materializza sullo stesso sfondo della veglia. Il presente di Lynch è un presente fitto di possibilità potenziali: come scriveva J.Bonamour a proposito di Dostoevskij, "vede nel presente non il prodotto di un passato, bensì la possibilità di un avvenire". Il segno onirico incarna questa escatologia potenziale. Il sogno con cui si apre The Elphant man sembra più una profezia che un ricordo del passato: la madre di John Merrick travolta da degli elefanti profetizza l'attuarsi del uomo-elefante, e non di un qualsiasi semplice freak. Più evidente è l'incubo fatto dallo stesso John durante la storia: egli si vede in mezzo ad una baraonda di persone che ridono di lui, e che gli mette di fronte uno specchio in cui può guardare le sue fattezze deformi. Poco dopo il sogno diventerà reale. Il possibile diviene possibile.
Anche in Dune c'è questa convergenza di tempi all'interno della dimensione onirica: tutto il film è un rincorrere i sogni profetici del giovane Paul Atreides, sogni che alla fine si trasformeranno in realtà. Ed è lo stesso protagonista a confessare che "sono già morto per tutti se non tento di diventare quello che dovrei essere". In Cuore selvaggio i continui rimandi al fiabesco del Mago di Oz incrinano la verità dell'immagine portandola in una duplice dimensione onirica. In Velluto blu i dettagli asincronici dello scenario (microfoni e musica del dopoguerra, abbigliamento da anni '70, ecc.) rendono un'atmosfera oniricamente sospesa nel tempo, tra gli anni '40 e gli anni '80. Oppure in Mulholland Drive, l'ometto che racconta di aver sognato un barbone misterioso nel vicolo sul retro del locale in cui si trovano lui ed un amico; subito dopo il suo incubo diverrà dettagliatamente reale, tanto da farlo svenire dalla paura. Realtà e sogno reggono le fila dell'esistenza con la stessa misura, proprio perché in Lynch una realtà non è altro che l'attualizzarsi di un possibile sogno. Non vi state ancora chiedendo nel sogno di chi siamo?
[Mulholland Drive]
Il Cowboy: "Lei mi rivedrà soltanto un'altra volta se farà il bravo. Lei mi rivedrà altre due volte se farà il cattivo. Buona notte."
Lynch enfatizza la struttura illusionista del suo stesso cinema. Egli mostra delle tracce possibili, che non sono né necessariamente reali né assolutamente false. La sua gerarchia di valori esiste come una qualsiasi labile figura onirica che svanisce al risveglio, ma della quale resta la sensazione che potesse essere veramente possibile. E' falsa nella sua verità, ma allo stesso tempo è vera nella sua menzogna. Esattamente come il cinema, esattamente della stessa materia. Emblematica è la scena al teatrino Silencio in Mulholland Drive: le due protagoniste assistono ad uno spettacolo dove tutto sembra reale ma, come premette il presentatore, in realtà tutto è un'illusione, ogni cosa è registrata su nastro (come il cinema). "No hay banda" grida il misterioso presentatore "Non c'è una banda. Eppure noi sentiamo una banda (…) è tutto registrato. E' tutto un nastro. E' solo un'illusione". Poi sparisce lui stesso nel nulla, quasi fosse anch'egli solamente un inganno. Subito dopo va in scena con una canzone di struggente passione Rebekah del Rio, una cantante messicana. Le due protagoniste del film si commuovono e si abbracciano in lacrime, quando all'improvviso la cantante sviene cadendo a terra, ma la canzone continua: un'altra illusione, un altro nastro. Lynch confonde i diversi livelli di realtà: fa la metafinzione di una finzione. A questo punto siamo assolutamente persi nei segni scritturali della comunicazione: anche il film che stiamo vedendo è tutta un'illusione, tutto un nastro? Cosa c'è di reale in tutto questo? E cosa di realmente falso?
Anche in Velluto blu c'è una scena in cui si vede Ben cantare una canzone all'amico Frank: solo quando Ben smette di cantare e la canzone va avanti scopriamo trattarsi di una registrazione. Così in Cuore selvaggio è evidente il playback di Sailor quando canta a Lula alcune canzoni di Elvis Presley. Allo stesso modo possono essere viste le videocassette recapitate a casa di Fred e Renèe in Strade perdute, nelle quali i due coniugi possono vedersi ripresi ed ignari nel sonno; in una di queste registrazioni Fred si vedrà nell'atto di uccidere la moglie senza che lui si ricordasse di averlo fatto. Reale ed ir-reale ancora una volta si uniscono sul terreno di un'apparenza solamente fittizia. Lynch in questo sfasamento dell'integrità comunicativa sottolinea ancora una volta la possibilità che sta dietro ogni forma, l'esserci fecondo di differenze, la duplicità di livelli possibili. Ciò che si sente e vede può non essere reale; o meglio ancora, non è la sola realtà possibile. L'illusione consiste proprio nel considerare l'apparenza un'identità di forme reali, mentre Lynch valorizza l'inganno come traccia delle possibilità parallele non visibili/udibili. L'inganno che è anche e soprattutto il cinema, il suo cinema in particolare.
[Strade perdute]
Poliziotto: "Avete una videocamera?"
Renèe: "No. Fred le detesta."
Fred: "Preferisco ricordare le cose a modo mio."
Poliziotto: "Si spieghi meglio."
Fred: "Come le ricordo io. Non necessariamente come sono avvenute."