Eyes wide angle: il grandangolo di Kubrick
di Luca Bordoni
"Well, I've had a very interesting look around"
Bill Harford in Eyes wide shut
Parlare di un film come Eyes wide shut risulta quasi facile, vista la grande materia sull'argomento, e per certi versi anche appagante, visti i numerosi richiami letterari, musicali e pittorici del film.
Vorrei invece addentrarmi in un discorso poco battuto, di respiro tecnico-linguistico e apparentemente più limitato. Partiamo dal titolo del quale sono state date un paio di traduzioni "occhi aperti chiusi" e "occhi completamente chiusi". Il termine inglese wide ha infatti più di un significato: 1. ampio, largo, esteso 2.spalancato, aperto. 3.lontano, fuori luogo 4. sveglio, furbo. Come avverbio wide significa 1. in largo, dappertutto 2. completamente, del tutto 3. fuori segno, a vuoto.
Il titolo, in sede di traduzione, risulta ambiguo, in quanto può essere letto come un gioco di parole riguardo all'incapacità del protagonista di discernere tra sogno e realtà, "occhi aperti (svegli) chiusi", ma può anche essere letto, in riferimento alla novella di Arthur Schnitzler Traumnovelle(1) (Doppio sogno nella traduzione italiana), "occhi completamente chiusi", ad alludere al carattere onirico della storia. Sempre soffermandoci sul termine wide, risulta interessante sottolineare il fatto che l'obiettivo grandangolare, da sempre utilizzato da Kubrick a partire dai suoi primi film, abbia come termine inglese quello di wide–angle, (angolo ampio, alla lettera).
L'interesse per questo obiettivo è andato aumentando nel corso degli anni, anzi, direi dilagando: se in Rapina a mano armata era utilizzato solo in alcune sequenze, in 2001 odissea nello spazio diveniva "l'occhio" del computer HAL 9000, mentre successivamente in Shining diventa, assieme alla steadicam, lo strumento preferito da Kubrick per riprendere tutti gli spostamenti all'interno dell'Overlook hotel. In Eyes wide shut abbiamo un uso spasmodico, esagerato del grandangolare (2), l'utilizzo di questo tipo di obiettivo va addirittura contro tutte le convezioni fotografiche. Mi spiego meglio: normalmente per riprendere un primo piano o un mezzo busto vengono utilizzati i medio tele o i tele spinti (focali da 85 mm in su), questo per pure esigenze estetiche (l'attore non ha così un volto deformato o abbruttito) e fotografiche (il volto dell'attore, data la poca profondità di campo del teleobiettivo stacca notevolmente dallo sfondo). Un qualunque fotografo con un minimo di esperienza non penserebbe mai di optare per il grandangolo per realizzare un ritratto: quando viene utilizzato in questi casi (penso a un Wang Kar Wai) assume un tono inquietante, grottesco, (vedi Angeli Perduti) o per creare una bella fotografia con tocco romantico (In the mood for love). Mi sembra superfluo aggiungere a questo punto che in Kubrick non accade nulla di tutto ciò. Il grandangolo in questo autore diviene un punto di vista oggettivo, distaccato, "testimonia del suo desiderio di forzare il soggetto, dargli un'evidenza figurativa talvolta fine a se stessa" (3).
In altre parole svolge la funzione di collocare precisamente il personaggio nello sfondo grazie alla notevole profondità di campo data dall'obiettivo grandangolare (4), l'immagine diviene qualcosa di evidente, chiara, definita, dove gli spazi sono perfettamente misurabili (5). L'immagine diviene insomma, come notava Anotonioni a proposito di Orizzonti di Gloria, "qualcosa di clinico, tanto è lucida" (6). Questa lucidità clinica è una prerogativa assodata del cinema di Kubrick: la prospettiva brunelleschiana trova nel grandangolo la sua massima realizzazione (7); soddisfa l'ambizione del controllo sul mondo attraverso la geometrizzazione e la centralizzazione dello spazio. Il grandangolo, inoltre, aiuta a realizzare l'effetto di reale (8), lo stile documentaristico, che serve a dirci molto di più di quello che la storia effettivamente racconta. Basta pensare alle lunghe camminate di Bill e Alice nei corridoi della loro casa: in pochi travelling all'indietro oltre a sapere di quello che stanno facendo veniamo a conoscenza della loro casa, dei loro oggetti, della loro vita.
L'effetto di reale diviene così la cifra stilistica di Kubrick anche attraverso una fotografia naturalistica, che privilegia le fonti di luce reali (9). E proprio il grandangolo, producendo questa lucidità, permette una visone semplice, schietta, quasi giornalistica: in altre parole, realizza quella visione documentaristica che il regista di Shining ha ammesso di ricercare inseguendo lo stile kafkiano di "illustrazione del sogno attraverso effetti di reale" (10). L'inquadratura kubrickiana, attraverso un surplus di reale, produce, secondo Sandro Bernardi, "una forte tensione fra le immagini e il racconto (che pure è costituito con le immagini) poiché […] non sempre le immagini si compongono in una linea discorsiva coerente, unitaria; a volte anzi contrastano il discorso che attraverso di esse viene fatto, escono dal racconto" (11).
Questa "dialettica" (che ritroviamo in tutto il cinema di Kubrick a partire dal suo primo film Day of the fight del 1949) sembra trovare la perfezione in Eyes wide shut attraverso il dualismo racconto/sogno in cui, quest'ultimo, "non è tanto il contenuto del racconto, ma la sua forma" (12). È l'effetto di reale, la lucidità clinica dell'immagine a costituire l'oggetto del sogno, il racconto procede invece (pur con una struttura perfettamente geometrica e bunuelianamente surrealista, mediante la struttura del coitus interruptus) in maniera verosimile.
Il grandangolo, forzando gli oggetti nello spazio geometrico, coadiuvato dai lunghi piani sequenza, dà piena forma alla misurabilità dello spazio, semplifica e manifesta la visione, sembra portarci al limite del visibile, ce ne mostra il limen in quanto territorio in cui l'immagine non è più in grado di spiegarci la logica degli avvenimenti. Lo sguardo, per superare questa impasse, deve farsi soccorrere non dalla ragione, ma dall'immaginazione, dal sogno (13). Si annulla così la "struttura dialettica" del cinema di Kubrick, in Eyes wide shut infatti vi è "l'impossibilità di stabilire in forma apodittica quanto appartenga al sogno, e quanto rientri invece nel dominio della realtà" poiché "la frontiera esplorata da Kubrick non distingue né divide, ma esattamente al contrario connette e con-fonde" (14).
Il titolo del film, alla luce di queste brevi considerazioni, assume dunque un ulteriore significato: "occhi semichiusi", ad alludere a una visione parziale, incapace di mostrarci la vera realtà delle cose. Una visione limitata e limitante per il fatto di aver potuto vedere tutto (o quasi) quello che era possibile vedere, ma di non aver potuto comprendere, afferrare, capire e lasciandoci in una sorta di limbo visivo assieme al protagonista, persi nella linea di confine tra la piena visibilità delle cose e il loro fantasma. Un dormiveglia dal quale siamo risvegliati soltanto alla fine, con l'ultima battuta di Alice: "to fuck", che ci riporta (completandola) alla prima immagine di Alice che si spoglia, prima della comparsa del titolo, prima che gli occhi si chiudessero sul film.
(1) Umberto Curri ne Lo schermo del pensiero (Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002) osserva che il titolo Traumnovelle può essere tradotto letteralmente "racconto sognante" ovvero "racconto che è al tempo stesso un sogno".
(2) Mi risulta difficile capirne la focale ma da alcune interviste al direttore della fotografia John Alcott, che aveva lavorato in Barry Lyndon e Shining, e dal Making of di Shining di Vivian Kubrick, posso ritenere siano focali tra 14,5 mm e il 25mm. Grandangolari molto spinti, che servono a ottenere una grande profondità di campo e permettono un più facile uso della steadicam e del travelling all'indietro in quanto riducono al minimo le vibrazioni dovute allo spostamento della cinepresa.
(3) Recensione di Orizzonti di gloria di Michelangelo Antonioni, Bianco e nero, aprile 1958.
Antonioni nota giustamente, fra le altre cose, che in Kubrick le preoccupazioni formali non sono subordinate al soggetto. Dunque vede in questo autore una recherche estetica, non estetizzante.
(4) A questo punto bisogna anche aggiungere che Kubrick si è sempre servito del grandangolo non per ottenere differenti piani di racconto (si pensi alla celeberrima scena di Quarto potere dove sullo sfondo Kane bambino gioca con la slitta mentre in primo piano i suoi genitori stanno decidendo il suo destino), bensì per mostrare perfettamente dove sia collocato l'attore e cosa gli ruoti intorno.
(5) Il bello di questo regista è che riesce a utilizzare il grandangolare senza farlo sembrare tale: si pensi alla scena in cui Bill va a trovare Miriam, la figlia di un suo paziente appena deceduto. Tutta la scena (a parte qualche eccezione) ci viene mostrata con dei grandangoli che ci danno un punto di vista quasi onnisciente.
(6) (a cura di) Laura D. Sogni e Lara Bivio, Kubrick, Dino Audino Editore, Roma, 1999.
(7) Potremmo dire che la prospettiva, attraverso il grandangolo, trovi una sua iper-realizzazione, ovvero la prospettiva di una prospettiva, raggiungendo un effetto quasi espressionistico e mettendo in pratica la definizione di cinema data da Kubrick, come ci ricorda Jack Nicholson in Stanley Kubrick, a life in pictures di Jan Harlan, 2001: "Nei film non cerchi di fotografare la realtà, cerchi di fotografare la fotografia della realtà".
(8) Secondo Sandro Bernardi nel cinema di Kubrick esistono "due procedimenti diversi: il realismo e l'effetto di reale che si contrappongono ma che si presuppongono a vicenda […]." Il realismo è connesso al rappresentato, alla storia raccontata, l'effetto di reale riguarda i mezzi della rappresentazione, ovvero la materia di cui è fatto il cinema. Sandro Bernardi, Kubrick e il cinema come arte del visibile, Pratiche Editrice, 1990.
(9) A proposito di Shining, Kubrick ha dichiarato: "Credevo che la sistemazione labirintica e le grandi stanze dell'hotel avrebbero da sole fornito un'atmosfera abbastanza paurosa. Questo tipo realistico di approccio fu impiegato anche nell'illuminazione ed in ogni aspetto della scenografia." Michel Ciment, Kubrick, Rizzoli, Milano, 2000.
(10) Sandro Bernardi, Kubrick e il cinema come arte del visibile, cit.
In realtà Kubrick era giunto a questa conclusione attraverso l'effetto comico: è indubbio infatti che ne Il Dottor Stranamore la verve comica scaturisca principalmente dallo stile documentaristico. Un esempio per tutti: il rifornimento in volo tra i due aerei, seguito scrupolosamente in tutte le sue fasi, che si trasforma nella primo rapporto sessuale del film.
(11) Sandro Bernardi, Kubrick e il cinema come arte del visibile, cit.
(12) Umberto Curri, Lo schermo del pensiero, cit
(13) "Mi piacciono quelle aree del fantastico ove la ragione viene usata soprattutto per minare l'incredulità. La ragione può portarvi ai confini di queste aree, ma di lì in avanti è solo la vostra immaginazione che può farvi da guida". Stanley Kubrick in Kubrick di Michel Ciment, cit.
(14) Umberto Curri, Lo schermo del pensiero, cit.