Hollywood Party: cinema alla radio
di Francesco Torre
Paradossalmente il cinema, il più popolare strumento di comunicazione di massa, oggi è argomento assai indigesto nel vasto universo dei media. A tutti i livelli e in tutte le sue forme. Sui quotidiani le ricche recensioni di una volta sono state brutalmente soppiantate da brevi e accattivanti commenti che sempre più raramente interessano l'analisi del tessuto filmico. Le riviste di critica cinematografica (escludendo in questo raggruppamento le pubblicazioni che vivono sul gossip e sullo star system) si affidano, rischiando, ad una nicchia di mercato estremamente sottile e indefinita, al pubblico, per intenderci, del cosiddetto circuito d'essai. La televisione, peraltro, propone l'assoluto deserto. Non solo non si trovano, se non su alcuni canali tematici, zone protette per la storia e la critica del cinema, ma addirittura è un dato di fatto che le fiction per famiglie, i telefilm, le soap opera, isole dei famosi varie e altri prodotti confezionati in serie hanno ormai totalmente soppiantato la classica visione del film in prima serata, privilegio concesso solo a chi al botteghino ha dato prova di un sicuro successo, e dunque di un gratificante introito pubblicitario. Internet, inoltre, su cui molti inizialmente avevano riposto molta fiducia, propone una fruizione selvaggia, a 360°, del fenomeno cinematografico, prediligendo comunque la vendita alla critica, la promozione all'analisi, l'informazione e il gossip alla cinefilia.
E la radio? Da sempre il sottofondo rumoroso e continuo dell'Occidente ha visto e vissuto il cinema come un lontanissimo parente (in questo senso è importante ricordare che il cinema nasce come arte muta), una di quelle figure che affiorano a tratti negli album di famiglia e che non si riconoscono se non dopo uno sforzo di memoria. Tale distanza tra i due mezzi di comunicazione di massa in Italia è stata sempre notevole. Fino a meno di 30 anni fa, infatti, il monopolio radiofonico statale proponeva una programmazione "classica", alternando l'informazione al varietà, l'opera lirica al teatro radiofonico, la lettura di romanzi a melodie nostalgiche per casalinghe annoiate. Figuriamoci se in tali palinsesti ci poteva essere spazio per la critica cinematografica, quando non per vere e proprie sperimentazioni linguistiche. Eppure, strano ma vero, è proprio dal mondo della radio che proviene (e che resiste – è qui il vero miracolo) l'esperienza più duratura e felice di commistione mediatica che interessa il cinema in Italia. Stiamo naturalmente parlando di Hollywood Party, la trasmissione storica di Radio Rai 3 che, con la sua formula semplice e vincente, rappresenta per il cinefilo uno strumento utile e al tempo stesso divertente per sapere e sentire di cinema, quasi un'oasi nel deserto massificato dei mass-media nazionali.
Informazione, pubblicità, cinefilia, musica, critica sono alcuni tra gli elementi che Hollywood Party riesce ad amalgamare al fine di occuparsi di cinema come fatto culturale e sociale. Lo scopo dichiarato della trasmissione, quello cioè di raccontare il cinema alla radio, si concretizza tramite l'incrocio di due linguaggi differenti, possibile soltanto anteponendo l'uno all'altro, considerando la radio come contenitore e il cinema come contenuto. Ma cosa comporta tale mescolanza di linguaggi? E cosa significa in termini di fruizione, soprattutto dal punto di vista cinematografico? Queste sono le domande che hanno guidato la nostra analisi, e che tramite l'ascolto della trasmissione Hollywood Party ci hanno portato a verificare come il cinema possa modellarsi alla radio al fine di creare un nuovo mezzo linguistico, con delle proprie leggi e un particolare procedimento di fruizione; un mezzo "supersinestetico", che trova cioè il suo compimento soltanto tramite il potere immaginativo dello spettatore-attore radiofonico.
Hollywood Party va in onda su Radio Rai 3 dal Lunedì al Venerdì nella fascia preserale, dunque prepara l'ascolto delle trasmissioni di punta della rete, come per esempio Radio 3 Suite. La vocazione cinematografica del programma in questione si esprime già dal titolo, che in sé non rappresenta soltanto una promessa di divertimento, ma contiene anche una citazione: Hollywood Party, infatti, è il titolo di un notissimo film di Blake Edwards del 1968 con Peter Sellers. Come il cinema di Blake Edwards, anche il registro della trasmissione predilige la leggerezza e l'ironia, evitando i tecnicismi e le analisi per addetti ai lavori in favore dell'informazione e di una forma di memoria e critica cinematografica accessibile al grande pubblico. Una delle idee vincenti della trasmissione è stata sicuramente quella di affidare la conduzione non a degli speaker radiofonici professionisti ma a dei critici cinematografici prestati alla radio, i quali si alternano settimanalmente permettendo al programma di rigenerarsi continuamente e garantendo la pluralità di espressione. Voci abituali di Hollywood Party sono quelle di Stefano Della Casa e Alberto Crespi, soprattutto, ma anche Elio Pandolfi, Irene Bignardi, Enrico Magrelli, Tatti Sanguineti e Matteo Spinola.
Con la sua offerta di "anticipazioni, interviste, ospiti, notizie dal set, dirette dai festival nazionali e internazionali, ma anche memoria e storia della cinematografia italiana e straniera", Hollywood Party allo stesso tempo riesce ad attuare la politica dell'"infotainment" ed a rappresentare un punto di riferimento per il cinefilo più esigente. Il programma si presenta con una scaletta piuttosto rigida, che viene modificata soltanto in occasione dei grandi festival internazionali o di importanti conferenze stampa. La parte dedicata alle informazioni, alle interviste, alle letture, all'ascolto di spezzoni tratti da film si alterna in maniera equilibrata con le canzoni, per lo più tratte dalle colonne sonore delle pellicole più recenti. Il risvolto ludico, invece, è rappresentato dal quiz, il momento più evidentemente interattivo della trasmissione. Dopo l'ascolto di alcune clips (naturalmente in lingua originale) di un celebre film del passato, gli ascoltatori sono, infatti, invitati a telefonare per provare ad indovinarne il titolo, e così vincere dei libri di argomento cinematografico. Il resto della trasmissione è dedicato alle "ultime notizie": conferenze stampa, aggiornamenti sui premi, anticipazioni, indiscrezioni sul "magico mondo delle stars", naturalmente americane, e poco altro.
"Il tempo verrà in cui il cinema, portato dalle onde, andrà a cercare l'uomo a casa sua, lo inseguirà fin nei rifugi più lontani. (…) L'uomo avrà definitivamente perso la sua solitudine. Non potrà più sfuggire alla propaganda totale. Se non potrà o non vorrà acquistare l'apparecchio ricevente, gliene verrà dato e imposto uno. (…) Non esisterà appartamento senza radio-cinema" (1). Scritte circa 60 anni fa, queste parole di René Barjavel suonano adesso come una profezia, benché ispirate da un atteggiamento pessimistico influenzato dal periodo storico delle dittature europee.
La concezione di Cinema totale, esposta con grande lungimiranza dallo scrittore di fantascienza francese, è di certo condizionata dalle maggiori opere di Wells e Huxley, ma assume un particolare valore teorico in quanto riguarda le ipotesi di sviluppo di un'arte al momento assai giovane e allo stesso tempo influente come il cinema. Qui ovviamente non ci interessa tanto come Barjavel intenda le forme future di fruizione del mezzo cinematografico (che in qualche modo ci ricordano anche le preoccupazioni suscitate da Orwell in 1984), ma ci colpisce soprattutto il fatto che lo scrittore riesca ad immaginare nel futuro dell'uomo un nuovo mezzo di comunicazione di massa, a portata globale e imposto dalle istituzioni, che egli chiama "radio-cinema". La comunanza tra i due linguaggi, inoltre, non si ferma a questa considerazione.
Nel saggio Il cinema e l'uomo, infatti, Barjavel pone da un certo punto di vista la radio e il cinema sullo stesso piano: entrambi i media, infatti, sono stati sfruttati dai grandi totalitarismi ai fini di propaganda e come strumenti in grado di livellare e massificare i gruppi sociali. Considerando il maggior pregio della radio quello di poter raggiungere nello stesso tempo milioni di persone nei posti più lontani del pianeta, e quello del cinema la sua violenta azione "cannibalistica" (<"Questi rumori, queste immagini, travolgono tutte le sue difese (dello spettatore, n.d.A.), si fanno strada in lui, lo penetrano, lo possiedono>" (2)) e la sua capacità di rappresentare un'illusione raggiungibile, Barjavel immagina che nel futuro i due mezzi di comunicazione non possano che fondersi per dar vita ad uno strumento che li superi in potenza e capacità di penetrazione. Di certo lo scrittore non è così ingenuo da immaginare una semplice fusione tra i due mezzi di comunicazione di massa, e nelle sue ricche pagine possiamo già intuire l'inconscia percezione di forme di comunicazione simili a internet, ma quello che più ci interessa ai fini del nostro discorso è il fatto di aver considerato radio e cinema come due mezzi diversi sì, ma complementari, portati naturalmente ad evolversi seguendo strade comuni e dando vita a qualcosa di nuovo. Detto questo, non pretenderemo di avanzare l'ipotesi che il programma Hollywood Party in piccolo abbia realizzato questa fusione, ma dal nostro punto di vista il contatto, l'incrocio tra radio e cinema che la trasmissione di Radio Rai 3 propone quotidianamente ha generato forme di fruizione che non sono assimilabili né a quelle radiofoniche classiche, né, a maggior ragione, a quelle cinematografiche.
Come gli autori del programma stesso sostengono, Hollywood Party rappresenta una vera e propria scommessa, e neanche delle più semplici. La base su cui si sostiene la trasmissione, infatti, è proporre una materia a base prevalentemente visiva come il cinema in un sistema che è invece esclusivamente sonoro come la radio. Uno dei fondamenti su cui si basa la trasmissione è la possibilità di restituire intatta l'emozione cinematografica utilizzando solo una delle sue componenti, il sonoro appunto. Per capire se e come ciò sia possibile, bisogna assolutamente partire da alcune premesse fondamentali.
Investito dalla società moderna di un singolare ruolo totemico, il cinema impone, sin dai suoi primi passi, ma, soprattutto, nella fase del suo consolidamento, forme di fruizione davvero particolari in termini di interazione e di catarsi. Abbiamo già parlato di cannibalismo, ma non possiamo sottovalutare il valore ipnotico, rituale e dogmatico della rappresentazione filmica. Vero luogo di culto contemporaneo, la sala cinematografica accoglie quotidianamente masse di spettatori – fedeli, pronti a farsi invadere integralmente dal "verbo" filmico. Nel suo carattere universalizzante, il cinema ha il potere di abbattere ogni frontiera geografica, politica o ideologica. E la radio? Marshall McLuhan la definiva "tamburo tribale" in quello che è ormai uno dei classici del pensiero contemporaneo, Gli strumenti del comunicare (3).
Medium "caldo", la radio nasce come comunicatore sociale ed instaura sin da subito un dialogo continuo, un'interazione costante con l'ascoltatore. Solo voce, la radio rappresenta un medium in sé non finito, e permette che chi sta all'ascolto possa intervenire col suo potere sensoriale ed estetico in un'azione di completamento. Se, ricordando la lezione di Barjavel, il cinema riesce a coinvolgere totalmente lo spettatore soprattutto dal punto di vista emotivo, la radio in questo non è da meno, dovendo convenire con McLuhan che si tratta di una <<subliminale stanza degli echi che ha il potere magico di toccare corde remote e dimenticate>>. Da ciò si evince che ascoltare cinema alla radio può essere un'esperienza supersensoriale, che attiva tutti i poli della percezione e invita lo spettatore a compiere uno sforzo di natura estetica.
Durante la trasmissione Hollywood Party non è raro sentire interviste a registi e ad attori dopo aver ascoltato delle clip dei loro film, spesso in promozione. La sensazione che accomuna tutti gli intervistati è quella di avere di fronte un prodotto nuovo, qualcosa di profondamente diverso da quello che hanno realizzato, spesso piacevolmente diverso. "Sai che mi sembra un altro film?" (4), ha detto il rocker Ligabue dopo avere ascoltato uno spezzone di Da Zero a Dieci, mentre negli studi della RAI erano presenti anche il produttore e gli attori della pellicola. Noi non facciamo alcuna fatica a credergli. Tanto più che alla fine di ogni clip tutti gli interessati non facevano altro che tentare di descrivere visivamente quello che l'ascoltatore non poteva vedere, ammettendo di non avere mai ascoltato il sonoro del film senza vedere le immagini.
In pratica, dunque, dobbiamo convenire che inserendo un prodotto cinematografico così come è nel contenitore radiofonico, questo ne esce fuori snaturato e rinnovato. Senza la sua componente fondante, cioè l'immagine, il cinema alla radio si presenta come un prodotto dilaniato, amputato, mutilato in ogni senso. Se in un film gli elementi vocali e musicali non hanno la necessità di evocare un'immagine, perché questa può venire ripresa, mostrata, montata e ripetuta, diversamente succede alla radio, in cui lo stesso prodotto s'impoverisce notevolmente ed instaura con l'ascoltatore un diverso tipo di rapporto, richiedendo un livello assoluto di attenzione. "L'orecchio è iperestetico" (5), dice McLuhan, e supplisce alla mancanza delle immagini col proprio potere evocativo, suggestivo. Ascoltare cinema alla radio, dunque, diventa un'esperienza supersensoriale, che attiva tutti i poli della percezione, e invita l'ascoltatore a compiere uno sforzo di natura estetica superiore a quello normalmente esercitato per una classica trasmissione radiofonica. In mancanza di un'evidente e preesistente incrocio di immagini, parole e musiche, inoltre, uno spettacolo cinematografico trasmesso alla radio permette che l'ascoltatore possa creare una propria immagine, una propria inquadratura, un proprio montaggio. Detto questo, ci rendiamo conto di quanto l'arte cinematografica sia essenzialmente antidemocratica, e di come paradossalmente la fruizione radiofonica di un film possa essere in qualche modo più completa di quella cinematografica classica.
Trasmettendo il cinema alla radio, Hollywood Party crea un prodotto nuovo, un mostro che nasce dalla fusione di elementi diversi, allo stesso modo in cui il Dr. Frankenstein dà vita alla sua Creatura. Metafora ancora più pertinente se ammettiamo con Mary Shelley che pur essendo simile al modello, la Creatura è molto più complessa e stranamente più ricca di sensibilità e di senso estetico. Alla fine di questa indagine, ci scontriamo inevitabilmente con quello che possiamo definire lo "specifico filmico". Come abbiamo visto, infatti, il cinema alla radio costituisce un linguaggio a sé, diversificandosi dai mezzi espressivi da cui trae origine sia tecnicamente che in termini di fruizione. Sembra così ovvio, a questo punto, riuscire a sostenere che lo "specifico filmico" è contenuto gelosamente e segretamente in quella qualità naturale, strutturale del mezzo cinematografico che è l'arte del mostrare.
(1) Ren้ Barjavel, Cinema totale, Roma, Editori Riuniti, 2001.
(2) Ibidem.
(3) Marshall McLuhan, Gli Strumenti del Comunicare, Milano, Il Saggiatore, 1997.
(4) Intervista a Ligabue durante la trasmissione Hollywood Party del giorno 3 Febbraio 2002.
(5) Marshall McLuhan, op. cit.