Harpo shoots!
di Luca Bordoni
Poiché la mia esperienza di autore di cinema muto mi aveva molto influenzato, era Harpo che io preferivo.
Leo McCarey
Quando nel lontano 1961 venne pubblicata, molti fans non volevano crederci, pur essendoselo chiesto da sempre: come si poteva conciliare l'immagine dell'ultimo comico del muto con l'uscita della sua autobiografia che per di più recitava in copertina "Harpo speaks!"?
Harpo Marx "parlava" per la prima e ultima volta, visto che il libro precedeva di soli tre anni la sua morte. In realtà c'era stato un periodo in cui Harpo aveva parlato, recitato e cantato, ma con il tempo si era accorto che risultava molto più divertente (e bravo) quando stava zitto. L'attore cominciò allora ad escogitare nuove tecniche per far ridere, attraverso la gestualità, la mimica e l'utilizzo di oggetti sonori e strumenti musicali (in particolare l'arpa) lasciando l'incombenza della parola ai fratelli. Questa ricerca di una comicità puramente visiva e sonora sarebbe durata lungo tutto il corso della sua carriera cinematografica e sarebbe culminata con il film Love happy (1950) voluto e ideato da Harpo stesso.
Ma procediamo per ordine.
I Marx brothers, come sappiamo, arrivano al cinema molto tardi: il più giovane dei fratelli (1), Groucho, aveva già 39 anni all'epoca di The cocoanuts (1929). Eppure i Marx avevano una carriera teatrale lunghissima alle spalle, intrapresa nel 1907 (2) e, a partire dal 1919-1920, i loro spettacoli erano stati accolti con grande successo dal pubblico americano ed europeo. Si era dovuto aspettare a lungo per il battesimo cinematografico perché in ballo c'erano molte problematiche, la più importante, chiaramente, era quella di carattere tecnico. Come si poteva conciliare infatti la musicalità e la verbosità accesa dei loquaci Chico e Groucho con il silenzio del cinema muto? Come si poteva giocare con i loro scioglilingua, i nonsense, attraverso le didascalie? Lo stesso Harpo legava la sua comicità soprattutto agli oggetti sonori, ai rumori, al cinema sarebbe rimasto solo un pallido riflesso di tutto questo. La comicità ora accelerata ora come rallentata era inoltre una delle caratteristiche dei Marx; il cinema muto non avrebbe potuto accogliere questi repentini cambiamenti.
Solo l'arrivo del sonoro avrebbe permesso dunque ai quattro fratelli di esprimersi pienamente attraverso il mezzo cinematografico. Harpo "il muto" era l'unico dei Marx in possesso di quelle qualità pantomimiche per cominciare prima dell'avvento del sonoro, e infatti così aveva fatto con il lungometraggio Too many kisses nel 1925 (3). Anche se la partecipazione al film può essere vista come marginale nella carriera di Harpo, testimonia sicuramente del suo tentativo di spaziare anche in altri ambiti artistici. Gli anni venti sono infatti un periodo di grandi cambiamenti per i Marx, il successo dei loro acts da vaudeville, (dal 1914 al 1919 Home again e poi, dal 1920, On the mezzanine floor) li pone all'attenzione generale e i loro spettacoli vengono tenuti nel prestigioso Palace di New York.
Per Harpo si tratta di un periodo fecondissimo: mentre Chico, Groucho e Zeppo all'inizio degli anni venti hanno già portato a perfezione le caratteristiche dei loro personaggi (che resteranno pressoché immutati lungo il corso della loro carriera teatrale e cinematografica), Harpo continua a sviluppare la sua maschera sfumandola e modellandola sulla propria sensibilità. Il suo personaggio infatti, caratterizzato sin dall'inizio dalla parrucca bionda e dai vestiti troppo grandi, nasce sul modello dello scolaro stupido denominato "Patsy Bolivar", una specie di macchietta molto popolare nel vaudeville classico. Ma la semplice maschera dello stolto sta molto stretta a un attore che aveva voluto autocensurarsi, eliminando il parlato. Ecco quindi che questa chiusura provoca piano piano una sorta di implosione e porta Harpo a sperimentare e invadere tutte le possibilità offerte dal suo personaggio. La mancanza della parola non diventa un limite, un handicap ma, anzi, una continua sfida, una continua ricerca di tutto ciò che può sostituirla.
L'esperienza Hollywoodiana rappresenta per Harpo una carta in più per esplorare le sue potenzialità creative: lo possiamo già vedere con Monkey business (1931) il primo "vero" film dei Marx (4). Il mezzo cinematografico infatti ha molto da offrire a un cartone animato vivente come lui: per esempio nella scena del teatrino per bambini sulla nave da crociera dove il clandestino Harpo si mimetizza tra le marionette; la velocità della trasformazione da uomo-marionetta a marionetta-uomo viene esaltata e potenziata attraverso il montaggio. In questo sketch Harpo non solo mette alla prova la sua abilità nel trasformarsi repentinamente ma rende il suo corpo un aggregato di oggetti liberi e indipendenti. Come quando i due guardiani cercano di prendere la sua gamba e questa sfila via. Oppure come quando, nel suo a solo con l'arpa, Harpo si accorge che la sua mano si è bloccata, se la stacca dal braccio e ne tira fuori un'altra (quella vera).
Se Keaton ha fatto del suo corpo di attore un oggetto, pronto a essere lanciato, catapultato, schiacciato, Harpo mostra di non avere un corpo-oggetto, al limite di averne molti. Il corpo di Harpo non sente dolore, non ha pesantezza, il suo giaccone è in grado di accogliere qualsiasi cosa, ma nello stesso tempo il suo personaggio è leggero, etereo. Vuoto e pieno allo stesso tempo, Harpo diviene tutto e il contrario di tutto, una sorta di metafora della pellicola in grado di impressionare qualsiasi cosa ma di rimanere ciò che è, sottile e trasparente. Harpo inoltre non ha forma, la sua stessa maschera è in realtà un concentrato di maschere, di personaggi ora clowneschi, ora seriosi, ora astuti.
Riguardo al suo personaggio si è molto parlato del clown, del tramp, eppure anche qui Harpo sembra fuoriuscire da questo classico ruolo. Federico Fellini aveva individuato due tipi di clown fondamentali, il Bianco e l'Augusto: il primo è "l'eleganza, la grazia, l'armonia, l'intelligenza", il secondo invece è "il bambino che si caca sotto, si ribella a una simile perfezione; si ubriaca, si rotola per terra e anima, perciò, una contestazione perpetua" (5). Harpo riesce a essere tutto questo: nobile e infantile allo stesso tempo, elegante e caotico (6).
Duck soup (1933) significa per Harpo un grande incontro "a posteriori" con la comicità del cinema muto: alla regia del film viene infatti chiamato Leo McCarey che per anni aveva lavorato con la coppia Laurel & Hardy (7). McCarey crea proprio per Harpo delle intere sequenze mute come quella della disputa col venditore di limonate o la celeberrima sequenza dello specchio infranto dove Harpo, travestito da Groucho, cerca di imitare tutti i suoi gesti e i movimenti per fargli credere di trovarsi veramente di fronte a un'immagine riflessa. La macchina da presa al servizio di Harpo ne amplia le qualità di mago e prestigiatore rendendolo una specie di superuomo, come quando mostra i suoi tatuaggi a Groucho e da uno di questi, che rappresenta una cuccia, esce la testa di un cane vero che abbaia.
Dopo l'esperienza con Leo McCarey, che purtroppo si rivela essere un clamoroso insuccesso commerciale, i Marx passano dalla Paramount alla Metro Goldwin-Mayer dove Harpo ha l'occasione di incontrare un altro personaggio capitale del cinema muto: Buster Keaton. I due si incontrano sul set del cortometraggio La fiesta de Santa Barbara del 1935 e da quel momento Keaton diviene il maestro personale di Harpo. Per i film A night a the opera (1935), A day at the races (1937) e Go west (1940) Keaton ha il compito di preparare per lui le gag e di aiutarlo nella mimica.
Con i suoi quasi vent'anni di esperienza nel cinema, Buster diviene una fonte inesauribile di gag per Harpo: Keaton infatti, come i Marx, proveniva dal vaudeville ma, nel 1917, era approdato precocemente al cinema grazie a Roscoe "Fatty" Arbuckle. Giunti all'inizio degli anni quaranta il trio sembra perdere i colpi, e dopo The big store (1941) i Marx sono seriamente intenzionati a concludere la loro carriera cinematografica. In realtà l'idea di fare una sorta di parodia di Ingrid Bergman e Humphrey Bogart riaccende la loro creatività ed ecco A night in Casablanca (1946) che però non riesce a raggiungere le vette artistiche di un tempo. Tutto sembra essere un déjà vu, le scene, i dialoghi, perfino le gag: tutto ad eccezione di Harpo che dà un ulteriore trasformazione al suo personaggio, arricchendolo di una vena malinconica. Questo cambiamento, che in A night in Casablanca è ancora nella fase di abbozzo, viene perfezionato nell'ultimo film dei Marx, Love Happy, un progetto a cui Harpo teneva da tempo e che era riuscito a farsi finanziare dalle banche con l'impegno di riunire il trio dei Marx. La metamorfosi del suo personaggio è finalmente completa: protagonista assoluto della storia, Harpo non è più il classico personaggio folle bistrattato, ma un animo sensibile che si incarica ogni giorno di procurare da mangiare per la sua scalcinata compagnia teatrale che versa in condizioni economiche disastrose. In questo film la sua maschera si fa più umana e sensibile, i suoi modi gentili e delicati non sono più rivolti solo ad animali come nei film precedenti ma anche ad esseri umani e in particolare a una ragazza del quale Harpo è innamorato. Il suo personaggio diviene una sorta di vagabondo chapliniano, spinto sempre ad agire da nobili ideali e la sua maschera assume una velatura tragicomica.
Love happy non è considerato dalla critica uno dei migliori film dei Marx, eppure il finale esplosivo, in cui Harpo saltella sulle insegne pubblicitarie dei tetti di Time Square per sfuggire ai gangster, è uno dei più belli e la sua fuga spericolata e interminabile ritrasforma l'adulto in bambino, il coraggioso in angelo folle, l'uomo in cartone animato, Harpo in Patsy Bolivar.
(1) Il più giovane dei fratelli era in realtà Zeppo (nato nel 1901) che però, nella sua breve carriera, non aveva mai giocato un ruolo attivo nella comicità dei Marx.
(2) All’epoca il trio era formato da Groucho, Gummo e un certo Lou Levy; Harpo arriverà subito dopo, mentre Chico entrerà nel gruppo qualche anno più tardi .
(3) La partecipazione di Harpo al film era stata rilevante, interpretandovi la parte dello scemo del villaggio, ma durante la fase di montaggio erano state eliminate quasi tutte le sue scene, relegandolo al ruolo di semplice comparsa. Un anno dopo, nel 1926, era stato inoltre realizzato il primo film dei fratelli Marx, un cortometraggio intitolato Humorisk che purtroppo risulta perduto.
(4) Come ricorda Andrea Martini “se nel 1929 il cinema aveva scoperto i Marx, nel 1931 i Marx scoprono il cinema.” I primi due film infatti non erano altro che i rifacimenti dei loro maggiori successi teatrali: The cocoanuts e Animal crackers. In questo film invece: “Non vi è più separazione delle scene, i movimenti sono la ragione delle inquadrature, la macchina da presa è un occhio mobile che insegue i Marx nei loro frenetici spostamenti, il montaggio può essere libero, capace, con accostamenti di immagini, di arricchire l’effetto comico.” Andrea Martini, Fratelli Marx, Il Castoro, Milano, 1995.
(5) Federico Fellini, Fare un film, Einaudi, Torino, 1993.
(6) Sempre Fellini ricorda che François Fratellini aveva creato un particolare clown bianco, le contre-pitre, simile all’augusto, il quale tuttavia, prestava la sua alleanza al padrone. Egli era il lazzarone ricattato, la spia, il confidente della polizia, il liberto che vive nelle due zone, a metà strada tra l’autorità e la mascalzonaggine.” Questa figura può ricordare molto da vicino quella di Chico, l’italoamericano che vive di espedienti sempre pronto ad allearsi con i potenti e a svolgere il ruolo di doppiogiochista. Federico Fellini, op. cit.
(7) Non a caso, Duck soup era il titolo di un altro film realizzato da Leo McCarey con Stanlio e Olio.