Bud Spencer: il nuotat(t)ore
di Domiziano Pontone
Carlo Pedersoli, chi era costui?
Luca Sacchi o Massimiliano Rosolino potrebbero, forse, rammentare il più grande nuotatore - stile libero - italiano degli anni '50, forse di sempre. Ma, se dicessi Bud Spencer, una pletora di persone dichiarerebbe di conoscerlo e inizierebbe a citare alcuni titoli di film, tirerebbe in ballo Terence Hill e riderebbe al pensiero di scazzottate e battute.
Eppure esisteva un Carlo Pedersoli prima di Bud Spencer, così come esisteva un Bud Spencer senza Terence Hill e senza botte.
Carlo Pedersoli nasce a Napoli il 31 ottobre del 1929. Giovanissimo è già vincitore di gare di nuoto, ma si dà all'agonismo solo a vent'anni, dopo averne vissuto due in Brasile e uno in Argentina con la famiglia. Vince per sette anni ininterrotti il titolo italiano nel crawl ed è il primo atleta nostrano a scendere sotto il minuto nei 100 metri. Ha giocato nella nazionale di pallanuoto e partecipato a due Olimpiadi.
Dunque, non un semplice appassionato di nuoto, ma un vero campione. Nel 1957, ancora trionfatore in vasca, si ritira e decide di partire per il Sudamerica, al fine di trovare un'identità diversa da quella di giovane dell'alta borghesia.
Non ama le cose facili e, abbandonati gli agi di Roma – dove si era trasferito durante la guerra – sceglie di fermarsi in Venezuela, lontano da amici e conoscenti, per ripartire da zero. Durante la sua permanenza a Caracas, incontra il figlio di un costruttore italiano che gli propone un lavoro: dirigere i lavori della Panamericana nel pieno dell'Amazzonia. Carlo Pedersoli accetta e, finito con quest'incarico, diviene il responsabile dei ricambi delle case automobilistiche britanniche per diverse nazioni del Sud e nel CentroAmerica.
Nel 1960 torna in Italia e sposa la figlia di Giuseppe Amato, il produttore, tra gli altri, di Francesco Giullare di Dio, Umberto D e La dolce vita. Ma, nonostante possa apparire logico il passaggio nel cinema grazie all'influente suocero, l'approccio serio col grande schermo avviene solo nel 1967, cioè tre anni dopo la morte del parente.
Tuttavia Carlo Pedersoli, col suo vero nome, fa qualche comparsata nei cinema anche prima della sua trasformazione in Bud Spencer. La sua figura imponente e senza barba può essere riconosciuta in Quo Vadis? di LeRoy (siamo nel 1951), Siluri umani di Lizzani e Leonviola (1954), Un eroe dei nostri tempi di Monicelli (1955), Addio alle armi di Vidor (1957), Il cocco di mamma di Morassi (1957) e infine in Annibale (1959) di Bragaglia.
Nel 1967 Giuseppe Colizzi gli propone un ruolo nel suo western all'italiana, debitore – come tutti i film del genere in quel periodo – nei confronti di Sergio Leone, Dio perdona... io no!, al fianco di un altro attore non del tutto famoso ma comunque già fattosi notare, Terence Hill. Insieme gireranno diciassette lungometraggi. Il duo non ha ancora velleità comiche e bisognerà attendere il colpo di genio di Enzo Barboni (al secolo E.B. Clucher, scomparso di recente e vergognosamente ignorato dai mass media) e del suo Trinità perché Spencer/Hill diventino un marchio a sé stante.
In attesa dell'esplosione, i due attori recitano insieme in altri film – sempre di Colizzi - come I quattro dell'Ave Maria (1968) e La collina degli stivali (1969) prima del successo clamoroso del 1970 con Lo chiamavano Trinità.
In attesa di trovare una sua dimensione comica, Spencer affronta altri ruoli "seri" in lungometraggi di secondo piano, lavorando con registi come Cervi, Montaldo e Zingarelli. La scelta del nome d'arte, anch'essa retaggio della necessità di apparire americani per girare western, risale al 1967: Bud nasce dalla birra Budweiser, quella preferita da Bud Beauty e Spencer dalla sua predilezione per Spencer Tracy. Va notato che Spencer lavora, nel corso della sua carriera, assai spesso con gli stessi registi. Gira, infatti, 4 film con Giuseppe Colizzi, 7 con Enzo Barboni (di cui 5 con Terence Hill), 5 con Steno, 5 con Michele Lupo e 5 diviso tra i fratelli Bruno e Sergio Corbucci.
La recitazione di Bud Spencer – per sua stessa ammissione - non segue nessun metodo particolare, ma va di pari passo con la sua fisicità debordante. I ruoli che gli vengono affidati sono quelli destinati al più classico dei caratteristi, ma l'ironia sottesa a ogni sua interpretazione, specie dagli anni '70 in poi, rivela un attore privo di tante finezze da Lee Strasberg, ma senza dubbio genuino e capace di catalizzare l'attenzione e le simpatie.
L'idea di E.B. Clucher di tradurre l'ormai stanca stagione del western violento in qualcosa di comico precede le intenzioni di registi importanti come Mel Brooks (Mezzogiorno e mezzo di fuoco) o Robert Aldrich (Scusi, dov'è il West?) e, rappresentando un unicum in quegli anni, favorisce la notorietà dell'accoppiata Spencer/Hill nel mondo.
Ma nonostante la fortuna improvvisa, l'attore napoletano rifugge le offerte stranere e continua a farsi dirigere da cineasti italiani, arrivando a condurre due carriere parallele: quella lanciatissima con Hill (alias Mario Girotti) e quella solitaria.
Se in coppia sbanca regolarmente i botteghini – impossibile non citare, oltre ai due Trinità, ...Più forte ragazzi!, ...Altrimenti ci arrabbiamo!, Due superpiedi quasi piatti e Pari e dispari – da solo ottiene buoni risultati soprattutto grazie alla collaborazione con Steno, che vede nascere il personaggio più importante del Bud Spencer orfano di Hill: il commissario Rizzo, meglio noto come Piedone. Dal 1973 al 1979 vengono girati quattro episodi e, se gli ultimi due appaiono meno incisivi, certamente le prime due uscite da poliziotto (Piedone lo sbirro e Piedone a Hong Kong) sono da considerare come un buon esempio di poliziottesco della decade. Nel primo della saga, Spencer, complice il fatto che la vicenda si svolge nella sua Napoli, per la prima volta non viene doppiato dalla bellissima voce di Glauco Onorato.
A conferma dell'accresciuta importanza di Spencer a livello internazionale, basti pensare ad alcuni tra gli attori che gli hanno fatto da spalla nei film senza Hill: Jack Palance e Francisco Rabal (Si può fare... amigo), James Coburn e Telly Savalas (Una ragione per vivere e una per morire), Robert Middleton (Anche gli angeli mangiano fagioli), Al Lettieri (Piedone a Hong Kong), Philippe Leroy (Soldato di ventura), Herbert Lom (Charleston), Robert Loggia (Piedone d'Egitto) e Ian Bannen (Un piede in paradiso).
Tra i migliori film a cui ha preso parte non da protagonista, va sottolineato Quattro mosche di velluto grigio, un originale giallo appartenente al periodo d'oro di Dario Argento. Interpreta il ruolo di Diomede detto Dio.
Volendo suddividerne la carriera cinematografica per epoche, potremmo dire che la prima fase va dal 1951 al 1959: una manciata di comparsate per il carneade Carlo Pedersoli, utili per raggranellare qualche soldo. Poi c'è un breve passaggio, dal 1967 al 1969, durante il quale nasce il Bud Spencer attore che ha l'opportunità di confrontarsi con bravi interpreti (Eli Wallach, Frank Wolff, Lionel Stander, Brock Peters, Kevin McCarthy, Woody Strode), approfondire la sintonia con Terence Hill ed acquistare un suo stile recitativo.
Dal 1970 al 1978 si dispiega l'aura aetas dell'ex-nuotatore: si conferma punta di diamante della comicità scanzonata in coppia con Hill, buon interprete anche senza il compare e gira i film migliori sotto tutti i profili.
Dal 1979 al 1987 raccoglie i frutti della notorietà precedentemente acquisita, rilassandosi in pellicole di basso livello, spesso in compagnia di colleghi in voga in quel momento. Nascono così imbarazzanti lungometraggi con i vari Tomas Milian (Cane e gatto) e Jerry Calà (Bomber), mentre i sussulti più divertenti sono sempre insieme a Hill (Nati con la camicia e Non c'è due senza quattro).
Dal 1987 al 1996 scompare dai grandi schermi, dopo un progetto abortito relativo a una rielaborazione di Don Chisciotte sempre con la fedele spalla, per dedicarsi alle serie tv; unica eccezione l'imbolsito ed evitabile Botte di Natale, di e con Terence Hill. Nascono così alcuni telefilm, come i vari Big Man (1987), Detective Extralarge (1991, accanto all'ex-Miami Vice Philip Michael Thomas), Extralarge (1992) e Noi siamo angeli (1996).
Dal 1997 a oggi si limita a qualche fugace apparizione come in Fuochi d'artificio di Pieraccioni o a qualche apparizione all'estero; tutto questo fino alla chiamata per il ruolo del co-protagonista di Ermanno Olmi per il suo ultimo, delicatissimo, Cantando dietro i paraventi.
Il successo di Bud Spencer nel mondo è testimoniato dalla facilità con cui i suoi titoli sono stati venduti all'estero (su tutti la Germania), mentre quella in territorio è facilmente riscontrabile dallo share relativo alla messa in onda delle pellicole. Il perché di tale successo va esaminato tramite alcuni fattori. Vanno considerate l'assoluta mancanza di volgarità e violenza (cattiva) nei lungometraggi interpretati, unita alla spigliata e non complicata sceneggiatura, sempre rassicurata dall'indubitabile happy end. Bud Spencer è una figura amica, è l'orso buono che protegge e solo fintamente si offende e si arrabbia, che cede alla bontà nonostante la voglia di essere un duro, che non è forse intelligentissimo, ma che ovvia con l'istinto, lontano dallo stereotipo dell'eroe perfetto e irraggiungibile.
Ingredienti all'apparenza semplici e non del tutto capaci di spiegare il successo. Probabilmente, accanto alla bonaria reiterazione delle trame a base di pugni e ironia, va tenuto presente il momento che attraversava il cinema nostrano. La commedia all'italiana dei due decenni pregressi si andava esaurendo e la sua erede diretta, quella scollacciata dei film di Cicero, Martino e Laurenti, non poteva soddisfare in maniera corposa né il pubblico familiare né quello abituato alle sottigliezze di Germi o di Sordi. Il resto del cinema veicolava film di denuncia (Rosi e Petri) e politici (Taviani e Scola), nichilisti (Ferreri) e decadenti (Visconti).
Sommando queste istanze si può provare a spiegare l'exploit buonista della filmografia di Spencer, sia quella più chiaramente scacciapensieri condivisa con Hill sia quella meno allegra della saga di Piedone, che si inserisce nel clima dei generi degli anni '70 mantenendo, però, l'illusione del trionfo della giustizia paternalistica del barbuto commissario Rizzo. Un caso a parte è il serioso Torino nera di Lizzani, poco riuscito.
Come tutti gli attori non diretti da grandi registi, Bud Spencer non ha (ancora) ricevuto alcun riconoscimento in Italia, nonostante una carriera che, escludendo le prove di mero sfruttamento della sua vasta popolarità, ha saputo regalare risate e spensieratezza sincera. Dietro ogni film si cela la placida idea della vittoria del bene sul male, contro ogni verosimiglianza e senza alcuna pretesa di catechesi. Il buonumore batte la malvagità e i pugni battono le pistole.
Una aneddoto: Bud Spencer avrebbe dovuto interpretare Trimalcione in Fellini – Satyricon (1969) ma, dovendo mostrare il sedere, rifiutò per pudore. Non aveva ancora interpretato il Bambino di Lo chiamavano Trinità e stava dicendo no a un mito della regia. Ma lo fece. Semplicemente.