La società del cinismo
Il cinema di Alexander Payne
Alexander Payne è un gaudente quarantunenne di Omaha, Nebraska, ed ha un notevole talento nel narrare storie divertenti e beffarde. Misconosciuto in Italia grazie a fugaci comparsate all'interno del Torino Film Festival (nel 1991 aveva presentato il mediometraggio The Passion of Martin, il suo saggio di fine corso alla UCLA, mentre nel 1999 la manifestazione gli ha dedicato una breve personale con i due film realizzati fino a quel momento), Payne è giunto al suo terzo lungometraggio (il primo, Citizen Ruth, è del '96, il secondo, Election, è del '99) segnalandosi come autore dotato di una forte personalità artistica e di una precisa concezione cinematografica.
La forza del cinema di Payne risiede tutta nella finissima osservazione delle contraddizioni presenti nella realtà americana, la quale viene rivista, rielaborata e ridefinita in modo da mostrare i lati più grotteschi e ridicoli della quotidianità e delle piccole e grandi turbe che colpiscono anche i più insospettabili individui. La concezione di cinema di Payne prevede una rilettura dei dati offerti dal reale attraverso il filtro del sarcasmo, pronto a sublimare in vera e propria cattiveria nei momenti topici del racconto. Una rilettura del reale che viene operata nel momento del concepimento stesso dell'opera, dato che la verità (sia della cronaca, nel caso di Citizen Ruth, sia del racconto di John Perrotta da cui è invece tratto Election) è solo lo spunto creativo di una narrazione condotta per mezzo di una ricerca attiva del particolare curioso e divertente. La centralità è quindi assunta dai personaggi, descritti con dovizia in ogni sfaccettatura, mostrati nel pieno esercizio del proprio ruolo e rappresentati con tutto il peso che la società e gli svariati contesti, in ogni manifestazione, fanno sentire su di loro.
La macchina da presa del regista è sempre concentrata sugli atteggiamenti degli attori, sulle loro crisi, sulle loro turbe, reazioni, paure e meschine aspirazioni: tramite l'agire delle figure è possibile analizzare un'intera società, per mezzo delle varie interazioni si ha un'immagine completa delle ridicole incongruenze in atto. Il risultato è l'America, con tutti i suoi miti e falsi valori stigmatizzati e beffeggiati, proposti soltanto per esporli al pubblico e critico ludibrio. Il falso perbenismo, l'ipocrisia borghese, la repressione dei costumi e la metaforica strumentalizzazione per fini politici di Citizen Ruth; l'arrivismo rampante, il mito del successo conseguito ad ogni costo, l'inaccettabilità del fallimento esistenziale, la provinciale, pruriginosa tensione ormonale presente in modo surrettizio in Election sono lo specchio fedele, visto attraverso un'ottica deformata, iperbolica e paradossale, della quotidianità statunitense e dell'involontario ridicolo già presente in essa. E per riuscire nel suo intento, Payne utilizza tutto il corredo che il linguaggio cinematografico potenzialmente gli offre.
Citizen Ruth inizia come un ennesimo film di denuncia sociale: una donna, visibilmente provata, si sottomette allo squallore di un rapporto sessuale senza la minima concessione al sentimento dentro un ambiente degradato e putrido. La donna, la Ruth del titolo interpretata da Laura Dern, è una tossicodipendente isolata in inquadrature secche, fotografate freddamente, dal taglio interessato all'icasticità della figura, non alla sua personalità. Mentre lo spettatore comincia a pensare di trovarsi al cospetto di un film crudo e glacialmente realistico (Ruth è dedita alla droga e in attesa di un bambino che non può assolutamente mantenere), Payne, con un tocco beffardo ancora sconosciuto, vira sensibilmente il tono del racconto e comincia a fornire particolari curiosi, piccole annotazioni di regia che contribuiscono a connotare diversamente il film. Furtive soggettive del membro antiabortista sul corpo emaciato di Ruth, apparentemente insignificanti gesti ed innocenti battute degli individui mostrati contribuiscono a creare in modo discreto un tessuto di caratterizzazione pronto ad esplodere non appena viene fornita l'occasione di una descrizione corale, con la contrapposizione tra i gruppi che rende evidente la metafora soggiacente nella pellicola, ossia il tentativo di stritolamento del singolo di fronte all'egoismo degli interessi istituzionali.
La satira ed il sarcasmo, in modo sempre più eclatante e sottolineato, sostituiscono la narrazione realista: non più storia personale, ma vicenda generalizzata di tipo induttivo, capace cioè di ricavare la situazione universale dal paradosso di quella particolare. Il ritratto si sviluppa ulteriormente nel caso di Election, in cui un professore di liceo cerca di ostacolare l'elezione a presidente del consiglio studentesco di una studentessa pericolosamente ambiziosa, fino al punto di perdere il posto di lavoro e di distruggere il proprio matrimonio.
La semplice osservazione dei personaggi si trasforma in divertita introspezione: i punti di vista differenti proliferano, la focalizzazione si frammenta, ad ogni personaggio è dato filtrare le vicende dalla propria, particolare prospettiva, fino a comporre un mosaico composito dove i valori si eclissano, le responsabilità latitano, le verità acquistano peso a seconda di chi vede una determinata situazione e la propone conseguentemente allo spettatore. La narrazione si frammenta notevolmente: ogni soggettiva dei personaggi diventa il pretesto perché si origini un inserto narrativo che espone una particolare idea o una determinata prospettiva, mentre le azioni non hanno tutte uno svolgimento lineare, ma sono intercalate da brevi scene che frantumano l'unità sequenziale e la continuità del discorso. La narrazione si fa corale e sconnessa, l'identificazione dello spettatore con i personaggi diventa impossibile e le certezze si perdono inesorabilmente: Il quadro assume tinte fosche proprio in virtù dell'assenza di una precisa assiologia di riferimento, e sullo sfondo, sempre presente, c'è la caustica critica al sistema: Election si conclude con una ironica esortazione alla presunta capacità americana di autorigenerarsi, di ricominciare tutto daccapo anche nella situazione più tragica e definitiva. Ma l'ultima inquadratura ribalta il concetto espresso, facendo terminare il film ciclicamente, con una situazione identica a quella dell'inizio, così da rendere anche l'eroico tentativo di rifarsi una vita un'amara constatazione sull'impossibilità di sfuggire al proprio triste destino.
Filmografia
THE PASSION OF MARTIN
Usa, 1990, 16mm, 48'
ELECTION
USA, 1998, 35mm, 103'
CITIZEN RUTH (La storia di Ruth donna americana)
USA, 1996, 35mm, 102'
ABOUT SCHMIDT (A proposito di Schmidt)
Usa, 2002, 35mm, 125'