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Torino
Film Festival ha proposto
quest'anno una retrospettiva su John Carpenter, uno dei pochi
eredi della grande tradizione del cinema americano, l'artista-artigiano
che cura personalmente ogni passo della realizzazione del film,
dalla sceneggiatura alle musiche, maestro di un cinema profondamente
legato alla classicità, dalla visivamente ricca costruzione
delle immagini e dall'attenta riflessione politica e morale. Regista
molto prolifico, Carpenter parte dalle storie (Lovecraft su tutti),
dai comics e dai serials di fantascienza anni Cinquanta e Sessanta
per arrivare a ridefinire l'horror e il fantastico come generi
cinematografici, arricchendoli di contenuti e di innovazioni linguistiche.
Attribuisce soprattutto a Howard Hawks la paternità del
suo cinema. Senza contare gli omaggi espliciti di Distretto
13: le brigate della morte e La cosa (a cui, in parte,
si aggiunge Vampires), sono un Un dollaro d'onore,
El Dorado e Avventurieri dell'aria alcune tra le
realizzazioni di Hawks che più hanno influenzato il cinema
di Carpenter, non solamente da un punto di vista strettamente
cinematografico, ma anche per il modo con cui Hawks intende la
vita, col suo sguardo mai moralista sui mali della società
americana espressa con uno stile che assottiglia il contenuto
fino a renderlo inesistente. Quegli stessi mali si ritrovano in
Carpenter trasformati in attesa e manifestazione del Male, con
i suoi mostri e nelle sue diverse forme: minaccia, paura, assedio.
Una
visione anche qui mai moralista, il cui pensiero emerge dalla
rappresentazione e senza bisogno di mediazioni, tanto che questa
volontà di un cinema mai troppo esplicito, ma allo stesso
tempo sempre radicale dal punto di vista ideologico, ha relegato
Carpenter in una posizione di secondo piano nel panorama del cinema
americano, da cui è considerato poco più che un
mestierante, quasi alla stregua del suo "Uomo Invisibile".
Nella mancanza di un'evidenza immediata è possibile rinvenire
una delle ricerche più forti del suo cinema. L'assenza
del tangibile apre al mistero ed a una riflessione sui rapporti
tra visibile e invisibile, tra reale e immaginario.
È questo il terreno privilegiato per una prima manifestazione
del Male, che da qui si propaga con i suoi mostri.
Ai
sostenitori del tangibile e delle ideologie ben definite (il materialismo
ad esempio), Carpenter ricorda che esiste una zona oscura, un
non visibile non meno attendibile solo per il fatto che vi si
accede tramite l'immaginazione. È questa zona oscura a
costituire lo scarto tra un apparente ordine stabilito e le inquietudini
che sfuggono a quest'ordine: è qui che nascono i "mostri",
i quali giungono ad affollare le strade, quelle di Los Angeles,
del cinema e del nostro reale. Dietro lo stile lineare, quasi
"normale", con cui compone i suoi film, Carpenter si
rivela regista anarchico e spietato nei confronti di quell'America
che pare fondata sui valori "buoni e giusti", pronta
invece a colpire gli strati più deboli della società
con situazioni, avvenimenti, personaggi che si palesano come reazione
a quest'ordine "legale" che dispensa bontà e
giustizia.
Col
cinema di Carpenter si impara che il mostro (il Male) non viene
più da altri paesi a conquistare la Terra, che tanto meno
è un fenomeno "notturno", come tipicamente accade
al cinema, ma che vive fra di noi e gode di una (semi) visibilità;
e il mondo ne diventa preda. Il mostro è rappresentato
dai teppisti di Distretto 13, hooligans feroci, tipica
produzione dei quartieri ghetto americani, persone che vediamo
nella vita di tutti i giorni e che sono la conseguenza di un cattivo
funzionamento dell'ordine socio-politico; il mostro è il
killer psicopatico Michael Meyers, ma sono anche gli eleganti
vampiri che illustrano quello che tutti noi potremmo diventare.
Il mostro fa quindi parte di noi, ma l'immaginario collettivo,
da sempre alle prese con attacchi e missioni di pace, lo crede
altrove e teme che a causa sua la violenza e le invasioni piomberanno
sulla nazione, secondo principi nostalgici di origine fantascientifica
prima (gli Anni Cinquanta) e politica poi (i moniti di Reagan),
distruggendo così quella che sulla carta sembra essere
la terra più felice del mondo (il sogno americano), con
le sue certezze, con i suoi buoni valori, ed i suoi marchi distintivi. I
timori, la zona oscura di questo immaginario collettivo Carpenter
li coglie tutti, rappresentando un'America di poveri avvelenati
da prodotti chimici, di zombies che vivono un lungo incubo metropolitano
(1997: fuga da New York), in cui la provincia è
"malata" (Halloween), ammantata di una follia
perenne avvolta nella nebbia che invade le strade (The Fog),
e su cui si abbatte la minaccia di estinzione della specie, quella
americana prima che mondiale (Il villaggio dei dannati),
perchè in realtà alcuni uomini sono degli extraterrestri
che "pilotano" i terrestri (Essi vivono), mentre
avvengono i fenomeni più incontrollabili, come un'auto
impazzita e assassina (Christine la macchina infernale).
Carpenter coglie tutto ciò e lo mette in scena con chiarezza
e grande ferocia. È uno dei pochi esempi di un cinema,
ormai, che getta un grido d'allarme. Come viviamo, soprattutto
ciò che subiamo, scatena in noi il "seme della follia".
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