Torino Film Festival 1999 - John Carpenter: Il seme della follia
di Cosimo Santoro
Torino Film Festival ha proposto quest'anno una retrospettiva su John Carpenter, uno dei pochi eredi della grande tradizione del cinema americano, l'artista-artigiano che cura personalmente ogni passo della realizzazione del film, dalla sceneggiatura alle musiche, maestro di un cinema profondamente legato alla classicità, dalla visivamente ricca costruzione delle immagini e dall'attenta riflessione politica e morale. Regista molto prolifico, Carpenter parte dalle storie (Lovecraft su tutti), dai comics e dai serials di fantascienza anni Cinquanta e Sessanta per arrivare a ridefinire l'horror e il fantastico come generi cinematografici, arricchendoli di contenuti e di innovazioni linguistiche.
Attribuisce soprattutto a Howard Hawks la paternità del suo cinema. Senza contare gli omaggi espliciti di Distretto 13: le brigate della morte e La cosa (a cui, in parte, si aggiunge Vampires), sono un Un dollaro d'onore, El Dorado e Avventurieri dell'aria alcune tra le realizzazioni di Hawks che più hanno influenzato il cinema di Carpenter, non solamente da un punto di vista strettamente cinematografico, ma anche per il modo con cui Hawks intende la vita, col suo sguardo mai moralista sui mali della società americana espressa con uno stile che assottiglia il contenuto fino a renderlo inesistente. Quegli stessi mali si ritrovano in Carpenter trasformati in attesa e manifestazione del Male, con i suoi mostri e nelle sue diverse forme: minaccia, paura, assedio.
Una visione anche qui mai moralista, il cui pensiero emerge dalla rappresentazione e senza bisogno di mediazioni, tanto che questa volontà di un cinema mai troppo esplicito, ma allo stesso tempo sempre radicale dal punto di vista ideologico, ha relegato Carpenter in una posizione di secondo piano nel panorama del cinema americano, da cui è considerato poco più che un mestierante, quasi alla stregua del suo "Uomo Invisibile". Nella mancanza di un'evidenza immediata è possibile rinvenire una delle ricerche più forti del suo cinema. L'assenza del tangibile apre al mistero ed a una riflessione sui rapporti tra visibile e invisibile, tra reale e immaginario. È questo il terreno privilegiato per una prima manifestazione del Male, che da qui si propaga con i suoi mostri.
Ai sostenitori del tangibile e delle ideologie ben definite (il materialismo ad esempio), Carpenter ricorda che esiste una zona oscura, un non visibile non meno attendibile solo per il fatto che vi si accede tramite l'immaginazione. È questa zona oscura a costituire lo scarto tra un apparente ordine stabilito e le inquietudini che sfuggono a quest'ordine: è qui che nascono i "mostri", i quali giungono ad affollare le strade, quelle di Los Angeles, del cinema e del nostro reale. Dietro lo stile lineare, quasi "normale", con cui compone i suoi film, Carpenter si rivela regista anarchico e spietato nei confronti di quell'America che pare fondata sui valori "buoni e giusti", pronta invece a colpire gli strati più deboli della società con situazioni, avvenimenti, personaggi che si palesano come reazione a quest'ordine "legale" che dispensa bontà e giustizia.
Col cinema di Carpenter si impara che il mostro (il Male) non viene più da altri paesi a conquistare la Terra, che tanto meno è un fenomeno "notturno", come tipicamente accade al cinema, ma che vive fra di noi e gode di una (semi) visibilità; e il mondo ne diventa preda. Il mostro è rappresentato dai teppisti di Distretto 13, hooligans feroci, tipica produzione dei quartieri ghetto americani, persone che vediamo nella vita di tutti i giorni e che sono la conseguenza di un cattivo funzionamento dell'ordine socio-politico; il mostro è il killer psicopatico Michael Meyers, ma sono anche gli eleganti vampiri che illustrano quello che tutti noi potremmo diventare. Il mostro fa quindi parte di noi, ma l'immaginario collettivo, da sempre alle prese con attacchi e missioni di pace, lo crede altrove e teme che a causa sua la violenza e le invasioni piomberanno sulla nazione, secondo principi nostalgici di origine fantascientifica prima (gli Anni Cinquanta) e politica poi (i moniti di Reagan), distruggendo così quella che sulla carta sembra essere la terra più felice del mondo (il sogno americano), con le sue certezze, con i suoi buoni valori, ed i suoi marchi distintivi. I timori, la zona oscura di questo immaginario collettivo Carpenter li coglie tutti, rappresentando un'America di poveri avvelenati da prodotti chimici, di zombies che vivono un lungo incubo metropolitano (1997: fuga da New York), in cui la provincia è "malata" (Halloween), ammantata di una follia perenne avvolta nella nebbia che invade le strade (The Fog), e su cui si abbatte la minaccia di estinzione della specie, quella americana prima che mondiale (Il villaggio dei dannati), perchè in realtà alcuni uomini sono degli extraterrestri che "pilotano" i terrestri (Essi vivono), mentre avvengono i fenomeni più incontrollabili, come un'auto impazzita e assassina (Christine la macchina infernale). Carpenter coglie tutto ciò e lo mette in scena con chiarezza e grande ferocia. È uno dei pochi esempi di un cinema, ormai, che getta un grido d'allarme. Come viviamo, soprattutto ciò che subiamo, scatena in noi il "seme della follia".