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Come
già era avvenuto nella passata edizione, la semplicità
e la poesia hanno avuto la meglio nella sezione dedicata alle
pellicole in concorso. Questa
è stata la volta di Marana Simhasanam (Trono di morte,
1999) dell'indiano Murali Nair, al suo primo confronto con le
dimensioni del lungometraggio dopo tre cortometraggi di successo.
Il regista, che ha curato personalmente anche il soggetto e la
sceneggiatura, e che si è aggiudicato il premio Camera
d'or al Festival di Cannes, mette in scena la pietosa storia di
Krishnan, un uomo ridotto in miseria che per mantenere la famiglia
ruba delle noci di cocco. Scoperto, viene accusato anche di un
omicidio rimasto insoluto e quindi condannato a morte.
È una vasta e grottesca allegoria della storia che sempre
si ripete: la falsità della politica, il potente che soverchia
l' umile e la consapevolezza dell' impossibilità di interrompere
questo meccanismo. Cosi la fin troppo esplicita critica alla pena
di morte (ironicamente riassunta dalla sedia elettrica che gli
Stati Uniti decidono di donare a tutti i paesi del mondo, una
buffa sedia a dondolo ricoperta di carta stagnola), lascia il
posto all' ironica tragedia rappresentata dai due partiti politici
che, sebbene appartenenti a fazioni opposte, non si differenziano
nel tentativo di sfruttare la disgrazia del povero Krishnan a
vantaggio delle imminenti elezioni; dall' ingenuo orgoglio provato
dal protagonista per essere il primo a testare il nuovo gadget
americano; dal fatto che forse, alla fine, è preferibile
una dolce morte ad una vita di stenti e soprusi.
Soft
Fruit (1999) di Christina Andreef, il lungometraggio che ha
ottenuto il Premio Speciale della Giuria, arriva dall' Australia
e propone, sebbene sfruttando un canovaccio un po' logoro e inflazionato,
la drammatica storia di una famiglia sui generis che si raccoglie
al capezzale della madre destinata alla morte e che riesce ad
eliminare parzialmente quelle tensioni che la tenevano divisa.
Il secondo Premio Speciale della Giuria è stato assegnato
a Les Siestes Grenadine (1999) del tunisino Mahmoud Ben
Mahmoud che sinceramente non raggiunge gli alti livelli dei primi
due. È un film alquanto di maniera che trasporta lo scontro
generazionale tra padre e figlia nella Tunisia dei giorni nostri.
Quest' ultima viene presentata come spaccata tra un passato magico
e dalle lunghe tradizioni, e un presente governato dalla corruzione
e dal razzismo ancora troppo radicato.
E ancora bisogna citare Eszak, Eszak (North by North,
1998) dell' ungherese Csaba Bollòk, per la capacità
di esprimere la surreale ricerca di una propria libertà
interiore di due ragazzi relegati in una dimensione personale
totalmente distaccata dalla realtàFuori
di me (1999) di Gianni Zanasi e una Vita non violenta
(1999) di David Emmer erano le due pellicole italiane in concorso.
Sicuramente prevale tra le due l' opera di Emmer: questi con uno
sguardo "trasognato" mette in scena realtà osure
come quelle della disoccupazione, della prostituzione e dell'
emarginazione senza mai insistervi troppo, utilizzando un linguaggio
semplice e un po' naif. Alla riuscita collaborano sicuramente
anche due attori quali Ninetto Davoli e Adriana Asti che riescono
a creare due personaggi, secondari nella trama, ma dal grandissimo
valore.
E ancora si potrebbero ricordare film come Ressources Humaines
(1999) del francese Laurent Cantet, o Torowisko (The junction
1999) della polacca Ursula Urbaniak che sicuramente hanno contribuito
a rendere ancora più variopinto e interessante questa sezione
che ogni anno ci offre delle sorprese.
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