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Giunto
alla sua diciottesima edizione e ospitato nella piccola città di
Sacile, il Festival si distingue per la sua programmazione eclettica e di
grande qualità.
Per celebrare il centenario della nascita di Alfred Hitchcock è
stata organizzata un'ampia retrospettiva intitolata "The Hitchcock
Connection" che raccoglieva al suo interno, oltre ai primi lungometraggi
ai quali collaborò il regista britannico, anche le sue otto opere
mute tra le quali si possono ricordare titoli come The Lodger (1926),
The Ring (1927), Blackmail (1928). Forse più in questi
lavori che in quelli dei decenni successivi si può notare l'abilità
del regista nel comporre l'immagine, la padronanza del mezzo e la sapienza
di conferire alla narrazione un ritmo innovativo per i suoi tempi. Sono
chiare le influenze di Graham Cutts e quelle del cinema russo e tedesco
che ebbe modo di conoscere sia durante il periodo trascorso alla London
Film Society, sia nel corso della frequentazione degli studi cinematografici
tedeschi. Opere interessanti e vivaci nelle quali sono riscontrabili già
le tematiche che saranno care al regista per tutta la sua produzione.
Un'altra sezione di grande interesse è stata quella dedicata al
"Cinema Nordico". I lungometraggi di registi come Victor
Sjostrom, Mauritz Stiller, Gustav Molander e di tanti altri che preferirono
invece la forma del cortometraggio, sono la testimonianza di una produzione
quanto mai vasta e consapevole che, facendo leva sulle credenze e le tradizioni
popolari del modo rurale, e su una volontà esplicita di documentare
in modo autoreferenziale quella determinata dimensione, propongono con
ingenua ripetitività i temi dell'amore e del tradimento, delle
saghe nordiche, dell'alcoolismo, del rapporto dell'uomo con la natura
e di una vita fatta di sacrifici e stenti.
In contrasto con la "semplicità" della suddetta cinematografia
si è posta la sezione "Ribelli Americani", composta
da una lunga serie di cortometraggi di registi come Dudley Murphy, Theodore
Huff, Charles Vidor, Rob Florey, il cui scopo era quello di evidenziare
l'esistenza di una cosiddetta "avanguardia statunitense" degli
anni venti e trenta misconosciuta da molti storici e critici. La concezione
di questi che ritengono tale momento della cinematografia americana un
surrogato delle nuove tecniche e teorie coeve mitteleuropee, viene messa
in crisi da lavori che aggiungono un gusto prettamente americano basato
sulla satira sociale anti-hollywoodiana, su uno sperimentalismo "fastoso"
e spettacolare. Un modo originale di fare cinema che giustifica la definizione
di un movimento inedito.
E ancora bisogna ricordare gli "Eventi Speciali", che
vantavano la presenza di film come Juha (1999), di Aki Kaurismaki
(uno splendido remake senza parole di un film muto) e The Kid Brother
(1927) di Ted Wild; le sezioni come "The Griffith Project"
(ben sessantasei corti) e "Un trésor dans un armoire"
che presentava le preziose pellicole di Méliès, Gaumont
e Pathè ritrovate quest'anno in una cassa dentro un armadio, e
prontamente restaurate. Come risulta evidente il "Festival del cinema
muto" è un momento unico ed emozionante che, anche quest'anno,
è riuscito a proporre un ulteriore approfondimento su un cinema
delle origini sempre emozionate e imprevedibile.
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