Vincitore
della sezione della Settimana della Critica, l'opera prima del regista
argentino Paolo Trapero narra la storia di Rulo (Luis Margani),
un uomo di mezza età, che è costretto a fronteggiare
una vita di sacrifici e di stenti in cui la mancanza di denaro e
la ricerca di un'occupazione diventano le costanti che la muovono.
Da subito si possono distinguere due universi completamente separati
e antitetici: da una parte il mondo lavorativo dall'altra quello
degli affetti e della famiglia.
Il
primo è caratterizzato da una completa alienazione dei rapporti,
in una dimensione totalmente disgregante dove le gru diventano l'espressione
di un processo di costruzione capitalistica la cui mole soverchia
in modo radicale quella dell'uomo. Nulla conta all'infuori della
capacità produttiva dell'individuo, e anche quando questi
compie il proprio dovere possono intervenire elementi esterni a
vanificare ogni fatica. Infatti il protagonista dopo un lungo periodo
di prova viene rimpiazzato improvvisamente da uno sconosciuto. Questo
avvenimento lo porta ad abbandonare tutto per recarsi a 2000 chilometri
dalla sua città alla ricerca di un posto ritenuto sicuro
(e che invece, come il precedente, si risolverà in niente).
Rulo
raggiunge così un luogo talmente desolante da essere quasi
surreale, il cui simbolismo è palese sin dalle prime scene.
Un luogo solitario e dimenticato; una "postazione" dedicata
al lavoro in cui il lavoro stesso sembra privo di significato.
In
questo contesto anche i due amici Walter e Torres, che compiono
quel lunghissimo viaggio per incontrare il terzo compagno di avventure,
sembrano esseri provenienti da un altro mondo che si muovono su
un mezzo estraneo alla nostra realtà. E i lunghi silenzi
che caratterizzano la loro visita sono commenti fin troppo eloquenti
sulla condizione disperata e di solitudine vissuta dall'amico.
A tutto questo Rulo oppone, come abbiamo già detto, un mondo
fatto di amicizia e di affetti. E questi spiccano in maniera evidente
dando vita a situazioni e rapporti dalla tenerezza inaspettata sia
con il figlio Claudio (Federico Esquerro), totalmente dedito alla
musica e alla disoccupazione; sia con Adriana (Adriana Aizenberg)
la padrona di un chiosco con la quale intraprende una delicata storia
d'amore. E' una realtà fatta di piccole cose ma che cerca
di fronteggiare il peggio, e che il protagonista deve abbandonare
per seguire quel miraggio di un'occupazione fuori città.
Un atteggiamento positivo e ironico il suo che gli permette di affrontare
con forza, e anche in parte con un po' di rassegnazione, una vita
fatta di incertezze e di sorprese non sempre positive.
Una
condizione di instabilità riproposta anche nel finale aperto
in cui il protagonista, nuovamente in viaggio dopo aver perso il
lavoro per il quale aveva abbandonato tutto, si protegge dal freddo
in una oscura cabina di un camion, fermato facendo autostop.
Una
tesi quindi cruda e spietata quella proposta dal regista in questo
film, e supportata sia da un'incredibile recitazione, sia da una
fotografia basata su un bianco e nero sgranato che ben si addice
alla condizione effimera dei personaggi che si trascinano in quella
dimensione così opprimente.
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