Illusioni di luce
Analizzando la programmazione nelle sale degli ultimi mesi, si nota la presenza di un nutrito numero di pellicole che indagano il soprannaturale nelle sue più svariate forme.
Case stregate, morti che ritornano, bambini dotati di poteri paranormali e strane "luccicanze" sembrano - dopo un lungo periodo di inspiegabile silenzio - riaffermare la propria esistenza e reclamare lo spazio che giustamente spetta loro nella settima arte, non casualmente, la più idonea, tra le varie forme d'espressione visiva, a rappresentare in maniera completa ed emozionante l'orrore e le tenebre. Infatti, parafrasando una provocatoria affermazione di Amos Vogel, è evidente come l'oscurità mini l'illusione di luce derivante dalla proiezione di una qualsiasi pellicola: lo spazio nero tra due fotogrammi si cela dietro quel fascio luminoso che ci affascina e ci inganna al tempo stesso. Quindi, avvolti nel buio della sala, subiamo un'ulteriore invasione di oscurità lasciandoci paralizzare in "un'altra dimensione".
Cinema e orrore sembrano pertanto legati da questo connubio di ombre e tecnica, che spiega la predilezione del primo nei confronti del secondo. Una predilezione da sempre esistita e che, come abbiamo rilevato, si è riproposta in questi ultimi tempi attraverso una serie di lungometraggi dalla medesima tematica. Suggestivamente potremmo giustificare la nuova ondata con le inquietudini messe in gioco dal periodo di ideale trapasso da noi vissuto; ma più concretamente questa produzione risponde all'esigenza di non fare diventare l'horror un genere completamente sterile, già profeticamente denunciata da Wes Craven con il suo Scream (1996), che si può leggere come una geniale e ricchissima summa, ma soprattutto come la dichiarata consapevolezza della necessità di nuovi impulsi creativi.
Non riuscendo a resistere ad una simile tentazione, cercheremo in questo numero (sebbene lo spazio a disposizione sia esiguo a causa di serie ristrettezze economiche) di occuparci dell'orrore cinematografico concentrando l'attenzione sulle sue motivazioni e manifestazioni più rilevanti, ma anche cercando di affrontare l'argomento in maniera trasversale con un occhio anche al linguaggio usato dal cinema per mettere in scena le storie più agghiaccianti.
In parte collegato a questo discorso è Roman Polanski - al quale è dedicata la Focalizzazione di questo numero - che con il suo ultimo lavoro torna nuovamente all'orrore. Un regista molto scostante che vanta una cinematografia vasta e diseguale ma indubbiamente di gran valore.
E ancora ricordiamo Robert Kramer, un grande regista (esponente di un'epoca e di un certo modo di fare cinema) la cui scomparsa, come spesso accade ai personaggi non conosciuti dal grande pubblico, è passata totalmente in sordina.