Roberto Rossellini
Francesco giullare di Dio
di Simone Starace
Dei tanti Rossellini "rimossi", Francesco giullare di Dio resta a tutt'oggi uno dei più sconcertanti. L'autore, su questo non ci sono dubbi, ha girato il perfetto film "francescano" e, del Santo, non ha trascurato aspetto rilevante alcuno: la totale sottomissione, l'armonia col Creato universalmente inteso, la dimensione ascetica risolta nella concretezza quotidiana...(1). Tutte caratteristiche che, qui, non soltanto risaltano, ma diventano addirittura le qualità principali dell'intero film, opera "eccelsa" di cui però, per l'appunto, diventa allora problematico parlare in chiave esclusivamente "terrena".
Se si guarda all'approccio critico con cui ci si è avvicinati al film, non risulta, ad esempio, che ci si sia mai "abbassati" più di tanto ad analizzarne lo schema costruttivo. Se a Stromboli si era unanimemente rimproverato il difetto di un finale che sembrava un po' un fulmine a ciel sereno, con Francesco l'impressione era che si presentasse, invece, il problema opposto: come notò anche Flaiano, quello splendido inizio sotto la pioggia sembrerebbe infatti rischiare di esaurire tutto ciò che il film avrebbe avuto da dire. Possibile che Rossellini, maestro in parsimonia, abbia ritenuto tanto interessante filmare altri nove fioretti che di straordinario non avessero nient'altro che la fonte? In realtà, dissimulata ma rigorosa, esiste una precisa struttura narrativa che lega i vari episodi: Rossellini e Fellini l'hanno costruita su tre personaggi (Giovanni, Ginepro e, ovviamente, Francesco), che altro non sono se non tre diverse gradazioni dell'Illuminazione, ricalcate sulla parabola evangelica del seminatore.
Mentre seminava, alcuni semi caddero sulla strada, dove accorsero degli uccelli che li mangiarono. Altri, invece, caddero in uno strato di terreno sottile, sotto cui c'era la roccia. Subito germogliarono, perché il terreno non era profondo, ma quando si levò il sole, le pianticelle bruciarono, perché non avevano radice. [...] Infine, alcuni dei semi caddero nella terra buona e produssero trenta, sessanta e perfino cento volte quanto era stato piantato. (Mar 4: 1-20, anche in Mt 13:1-23 e Lc 8:4-18)
Diversamente dagli evangelisti, Rossellini non connota i suoi personaggi in termini di "santità" (come potrebbe sembrar logico), ma in termini di conoscenza e consapevolezza, lasciando però sostanzialmente invariato il resto del discorso. Francesco, è chiaro, rappresenta il seme che produce "perfino cento volte quanto era stato piantato". Giovanni detto il Semplice, invece, anziano e decisamente rimbambito, è forse uno dei semi non germogliati: entra a far parte con entusiasmo della congrega, ma non raggiunge mai la consapevolezza delle proprie azioni (il loro perché): si limita a "imitare" Francesco, ma poi, all'occorrenza, sa rivelarsi ancora molto prosaico (come nella scena col pastore). Non sa insomma distinguere, né nel comportamento del Santo né nella natura circostante, il significante dall'insignificante (la scena del girotondo, in cui si appresta a seguire un uccellino...). Sul suo fervore religioso non è possibile nutrire dubbio alcuno, ma la sua condotta, tutta "epidermica", non lo differenzia troppo dai personaggi femminili presenti in altre opere di Rossellini. Infine, Fra' Ginepro, su cui è praticamente incentrato il film stesso. Almeno inizialmente è certo possibile scorgere in lui la personificazione del seme caduto nel terreno meno profondo, germogliato presto e rigoglioso, ma senza la dovuta mediazione intellettuale: prova tenacemente ad applicare la lezione francescana, ma, limitandosi ai dati "materiali" (donazioni, sacrifici), finisce continuamente per provocare guai (la donazione del saio, il fioretto dello zampone di maiale...). Tuttavia, durante il suo incontro con Nicolajo, anche Fra' Ginepro sembra giungere a maturazione (qui Rossellini è un po' ellittico ma senz'altro esplicito) e diventa, in sostanza, Santo.
In base a queste osservazioni è dunque possibile affermare come, anche nella sua opera più serena, Rossellini non possa comunque fare a meno di costruire una sua "segreta" via crucis, che coincide, peraltro, col percorso stesso di Francesco: tutti e tre i personaggi non sono che le stazioni che il santo deve aver attraversato, quasi dei flashback mascherati. Sia Ginepro che Giovanni, d'altronde, si presentano in scena proprio donando tutto ciò che hanno (uno il saio, l'altro la propria mucca): esattamente come la leggenda vuole sia iniziato il cammino di Francesco, pubblicamente denudatosi della sua ricchezza. Se Giovanni rappresenta il Francesco neo-convertito, Fra' Ginepro, dal canto suo, rivive il conflitto che, certo, non può non esser seguito all'Illuminazione. Ecco allora che l'approdo di Francesco alla Santità, che avviene, chiaramente, prima dell'inizio del film, è però successivamente rievocato al suo interno, pur se in modo indiretto, allusivo: non potendo filmare "direttamente" la vita del Santo (avrebbe rischiato il culto della persona: niente di più antifrancescano!), Rossellini l'ha spezzata in tre diversi personaggi o, meglio, in tre immagini, affidando poi allo spettatore il compito di ricomporla, in una sorta di diluito, non-violento, "montaggio delle attrazioni".
Note:
(1) Mancherebbe, semmai, la dimensione scandalosa che tale esperienza assunse all'epoca, ma la sua esclusione è una scelta senz'altro coerente e, comunque, ben consapevole, visto che il motivo sarà poi centrale in Europa '51.
FRANCESCO GIULLARE DI DIO
(Italia, 1950)
Regia
Roberto Rossellini
Sceneggiatura
Padre Antonio Lisandrini, Padre Felix Morlion, Federico Fellini
Montaggio
Jolanda Benvenuti
Fotografia
Otello Martelli
Musica
Enrico Buondonno, Renzo Rossellini
Durata
75 min