Lars Von Trier
Dancer in the dark: critica sophiartistica del film
di Edoardo Colombo
Ci sono due specie di persone.
Ci sono quelli che vivono, giocano e muoiono.
E ci sono quelli che si tengono in equilibrio sul crinale della vita.
Ci sono gli attori.
E ci sono i funamboli.
Neige di Maxence Fermine
Poter assaporare ogni respiro di una vita, sostituire frivole gioie e sofferenze con incommensurabili piaceri e insopportabili dolori.
Vivere agli estremi. Per essere funamboli. Per rinunciare ad essere attori nella commedia della vita. E così Selma, struggente e lieve anima in equilibrio tra l'amore per un figlio e l'amore per la vita, tenendoci per mano, ci mostra l'ultimo atto di un'opera immortale. La sua esistenza.
Lars von Trier ha voluto regalare al mondo una perla d'amore incondivisibile. Una storia unica ed irripetibile, una storia che fa della sua atipicità il suo polo d'attrazione.
Si è costretti a parlare di "incondivisibilità" perché la vicenda narrata difficilmente troverà nel cuore dello spettatore un fondo d'immedesimazione: Vedovanza, cecità, pena di morte, ingiustizia, tradimento, falsità, sorrisi, lacrime, coraggio e amore, quell'amore che vince sempre e comunque, l'unico amore che può sopravvivere oltre la morte.
Emozioni comuni, ognuna appartenente ad una storia individuale, cucite con mirabile sapienza e senza alcuna forzatura dal meticoloso regista.
Ed è nel narrare senza amare che Lars von Trier trova la forza per esprimere sentimenti così in contrasto tra loro, nella camera distaccata e quasi amatoriale sembrano potersi leggere le sue parole, i suoi ammirevoli propositi, il voler mostrare senza dover dimostrare. Una silenziosa voce fuori campo durante il film sussurra al nostro orecchio "….ecco, questo è ciò che voglio farvi vedere. Non ho il potere di giudicare…. Ora i sentimenti sono vostri. Sono Liberi…". Il non richiedere immedesimazione nella vicenda narrata libera lo spettatore dal riversare narcisisticamente il suo ego nel personaggio: esso dunque non si commuoverà più per se stesso, non piangerà per i suoi dolori, non s'identificherà mai interamente nel narrato. Ed è questa la libertà ottenuta dalla magica favola di Lars von Trier, tanto dolce quanto amara: insegnare ad amare e soffrire per qualcosa di diverso da uno specchio, quel curioso specchio distorto che alla fine non fa che rigettarci indietro un'immagine di noi stessi.Una lacrima pianta per autocommiserazione non avrà mai lo stesso valore di una lacrima versata per il prossimo. Ed ecco l'intero pubblico chinare il capo all'indietro per contemplare il lieve ed armonioso cammino della piccola equilibrista: con occhi pieni di stupore potrà concedersi l'arbitrio di giudicarlo un divertente spettacolo oppure dare retta al vecchio Zarathustra e, per una volta, provare a vivere come la piccola funambola: in equilibrio tra il bene e il male, tra la luce ed il buio, tra la vita e la morte.
Proprio su questo precario equilibrio si regge l'intera vicenda.Il bene come fine e filo conduttore è violentato dal male che Selma si vede costretta a compiere, male a fin di bene punito con il male che agli occhi della legge sarebbe parso come bene. Il crollo dei valori, il rimescolamento delle certezze, e lo spettatore si trova inevitabilmente smarrito, confuso, arrabbiato.
La dicotomia luce-buio, lo yin e lo yang, nella luce vi è un po' di buio: la cecità latente con il tempo inizia a far sentire il suo peso fino a divenire insostenibile, il mondo inizia a diventare scuro, ed è proprio quando l'oscurità si fa più profonda che la luce diventa più intensa.Un paradosso, certo, ma una realtà resa possibile grazie al "ponte" che potremmo definire "terzo orecchio": figlio di un affinato udito e di un'immensa immaginazione, muta i paesaggi in note e colori, danze sfrenate, coreografie, folli corse e luce pura, una luce tanto vivida da essere più intensa di quella percepibile dall'occhio umano. La luce della fantasia porta con sé amore, speranza e felicità, a volte così effimera poiché i sogni non durano in eterno, a volte eterna. L'ultimo canto di Selma è il preludio al sogno più lungo che chiunque possa intraprendere, morire sapendo di aver dato ogni cosa per il bene di un figlio.
La vita e la morte fuse l'una nell'altra: è così sottile il filo che le separa. Condizione precaria quella umana, questo racconto non fa che sottolinearlo. Ed è in vita che si può decidere se recitare la parte che ci è stata assegnata, giocando con il creato, gingillandoci con il tempo finché una voce ci avvertirà che l'ora è giunta, oppure rischiare mettendosi in gioco, fondere vita e morte in un'unica moneta che tireremo ogni volta ci troveremo davanti a delle scelte così difficili. Solo mettendo in gioco ogni parte di noi stessi potremmo capire realmente il nostro valore, e mai potrà essere così degno di stima se arriveremo a sacrificare il nostro respiro per ciò che amiamo.
L'eterna solitudine, quasi tarkovskiana, è mediata dalla finzione, dal voler camuffare la sofferenza quotidiana celandone l'esistenza tanto al mondo quanto a se stessi. Così Selma mostra solo il lato positivo della sua personalità, rifugiandosi nel teatro, simulazione di vita, e nel musical, simulazione dei suoi sogni ad occhi aperti.
Una vita apparente che si rivela solo come un espediente per non fare impietosire il mondo, per sentirsi ancora "alla pari", nonostante la menomazione fisica. Grazie all'immaginazione nessuno potrà mai essere realmente solo, anche se mettere al bando la realtà porta inevitabilmente a scontrarsi contro un mondo ancora una volta troppo materialista.
La corda si spezza, lo spettacolo è andato male, un corpo giace al suolo esanime. La gente si dirada, alcune persone gridano spaventate, altre sono stizzite dal fallimento dell'esibizione. Ma alcuni di loro continuano a guardare il cielo, continuano a vedere passi incantati in equilibrio sul crinale della vita. Come bambini, anche loro da grandi saranno funamboli.
DANCER IN THE DARK
(Danimarca, Germania, Olanda, Usa, Inghilterra, Francia, Svezia, Finlandia, Islanda, Norvegia, 2000)
Regia
Lars Von Trier
Sceneggiatura
Lars Von Trier
Montaggio
François Gédigier, Molly Marlene Stensgård
Fotografia
Robby Müller
Musica
Björk, Richard Rodgers
Durata
140 min