Luigi Comencini
Pinocchio di Luigi Comencini: ovvero dell'inquadratura
Quella di Pinocchio non è una moda. Non vogliamo pensarla così. Fin dalla sua nascita (1883) Pinocchio è un punto di riferimento per l'industria culturale: la musica, il fumetto (o l'illustrazione), il cinema, la televisione; e non deve sorprendere che negli ultimi tempi il mito di Pinocchio sia stato recuperato in maniera così massiccia (dai Pooh a Benigni...). Naturalmente per ogni recupero ci sono linguaggi, punti di vista, obiettivi diversi.
Se il Pinocchio di Benigni si va a configurare come l'evento del cinema italiano di questi ultimi anni (da molto tempo Benigni aveva confidato di voler lavorare ad una sua versione cinematografica del personaggio di Collodi), Le avventure di Pinocchio di Comencini (1972) ritorna leggero alla memoria (grazie al clamore "benignesco" e alla recente edizione in DVD del film).
Rivedendo il film si assiste ad una vera e propria lezione di cinema condotta con estrema semplicità ed essenzialità. Nel film (sceneggiato dallo stesso maestro con la fedele collega Suso Cecchi D'Amico) troviamo condensati elementi del cinema italiano del dopoguerra: dal neorealismo (da quello più "crudo" rosselliniano fino a quello più "poetico" zavattiniano-desichiano), alla commedia popolare degli anni Sessanta, fino al cinema sociale e impegnato del decennio successivo.
Comencini, oltre ad una necessaria attenzione alla costruzione narrativa, compie un lavoro particolare in fase di composizione del quadro. Tutto il film si regge su un discorso di semplicità, essenzialità e chiarezza che si sviluppa nella sua cellula minima: l'inquadratura. Chiarezza, da intendersi non in senso classico, come quella tipica del cinema americano, per cui la storia si costruisce (grazie al fondamentale montaggio di quadro dopo quadro) in modo lineare e leggibile, ma in senso poetico-espressivo. E' come se il regista avesse voluto porre dei freni razionali al suo immaginario fantastico riuscendo, a livello di quadro compositivo, a sintetizzare un universo (quello della fiaba di Collodi) restituendo quella immediatezza e genuinità del racconto. A questo proposito c'è da considerare che il lavoro di Comencini era destinato alla televisione e le scelte di alcuni piani (la mezza figura negli interni, il totale negli esterni) sono probabilmente anche dettate dalle componenti del medium. La popolarità di Pinocchio trova in questo modo una sorprendente affinità con la popolarità del linguaggio televisivo (quello dello sceneggiato, in realtà termine che può stare stretto a questo lavoro per i suoi legami complessi con la storia del cinema italiano). I movimenti (dei personaggi, della camera), gli effetti di profondità (ottenuti negli interni attraverso un sapiente gioco di luci, ombre e polveri), gli spazi che i corpi dei personaggi occupano nel quadro, sebbene sempre estremamente calcolati, riescono a dare un'impressione di naturalezza, di vivacità di "fiaba colta sul vivo". Anche alcune rapide zoomate (come quelle su Nino Manfredi-Geppetto che rincorre Pinocchio), effetto di solito poco piacevole (forse didascalico?), qui riescono assolutamente coerenti al modo di vedere la storia, sempre partecipata dal regista.
Comencini è un Collodi cinematografico che racconta e osserva la vicenda, la gestisce inserendo visivamente dettagli semplici ma efficaci (ottime le scelte dei costumi: il vestito del primo giorno di scuola, le orecchie da asino, l'enorme giacca regalata da Mangiafuoco) e seguendo i personaggi non come se fosse al di sopra di essi, ma ponendosi al loro fianco, quasi da compagno di viaggio. Così facendo lo spettatore è a stretto contatto con la fiaba, con il mondo messo in scena: la storia di Pinocchio è in perfetta sintonia con questo approccio registico: sa far piangere o ridere, sa educare, sa sorprendere ma sempre a stretto contatto con il lettore che è sempre lì a un passo dai personaggi, quasi come in un romanzo di Dostojevskij. La cellula minima dell'inquadratura è quindi la base di partenza su cui costruire l'efficacia di una visione natural-fiabesca e Comencini sceglie la strada di un quadro grammaticalmente banale ma che restituisce grazie alla luce, ai volti sempre vivi, ai piccoli e costanti dettagli, la visione di un mondo puro e afferrabile come quello collodiano.
Da sottolineare il grosso budget a disposizione, tanto per stemperare le inutili e sterili polemiche sul budget per il film di Benigni. Invece più inquietante appare il "giallo" Rambaldi che ricorda di aver creato il modellino di Pinocchio (vedi: intervista su Libero.it oppure Carlo Rambaldi e gli effetti speciali, a cura di Lorenzo Pellizzari, Aiep editore, 1987, pag.68). Il suo modellino, plagiato e malamente copiato, sarebbe alla base di una scelta fondamentale di Comencini, quella di far recitare il piccolo Balestri nel ruolo di Pinocchio: "ho saputo che il loro Pinocchio funzionava molto male. Siccome funzionava male Comencini pensò bene di sostituirlo con il Balestri, il bambino, ben prima della fine del film. Ma Pinocchio, nella storia originale, diventa bambino soltanto alla fine, non durante". Questa dichiarazione (non dubitiamo sul discorso plagio visto che il giudice ha dato ragione a Rambaldi) resta comunque ambigua, poichè Comencini sostiene di avere volutamente scelto di mettere in scena un Pinocchio bambino per creare maggiore identificazione e affezione sullo spettatore. Inoltre la costruzione del film dovrebbe prevedere in modo chiaro la figura di un Pinocchio bambino, scelta ragionevole per ottenere gli effetti poetici e drammatici durante i "cambiamenti di stato" del protagonista.
LE AVVENTURE DI PINOCCHIO
(Italia, 1972)
Regia
Luigi Comencini
Sceneggiatura
Luigi Comencini, Suso Cecchi d'Amico
Montaggio
Nino Baragli
Fotografia
Armando Nannuzzi
Musica
Fiorenzo Carpi
Durata
134 min