Pierre Paul Renders
Thomas in love
Immagini e voci. Colori forti, violenti, quasi ossessivi. Voci frettolose, isteriche, irrequiete, tranne una: quella calda, suadente, e profonda del protagonista. Si tratta di Thomas Thomas, un trentatreenne agorafobico di cui non si conosce il volto, ma del quale si percepiscono gli stati d'animo, le frenesie, le angosce, i silenzi, il buio. La sua vita scorre dentro una casa che non ci è dato conoscere, ma solo immaginare. Attraverso continue soggettive che perdurano lungo l'intero corso del film noi vediamo quello che osserva il protagonista: il mondo esterno filtrato attraverso un videotelefono. Tutto appare assolutamente irreale, proprio come la vita che Thomas è costretto a vivere da otto anni. Una vita che non gli consente di uscire di casa perché ha paura degli spazi aperti, del contatto con la gente: per questo trasforma la sua abitazione in un ricettacolo di esperienze ed emozioni più o meno reali. Anche noi, come lui, non vediamo ciò che sta oltre le mura della sua abitazione, o meglio, vediamo solo ciò che lui ci consente di conoscere: i contatti che ha con il mondo esterno attraverso uno schermo ed un telefono. Sono queste le uniche cose devono interessare lo spettatore, perché rappresentano la sua vita in grado di ruotare inesorabilmente e con ritmi costanti solo intorno alle telefonate: il resto non esiste, non può esistere.
Thomas vive in un futuro ovattato in cui la gente appare fuori da ogni normalità: vestita di indumenti sgargianti abita in appartamenti dagli arredamenti geometrici e surreali, presenta sul corpo tatuaggi simbolo di una realtà primordiale e comunica con l'esterno attraverso codici di identificazione virtuali.
Il protagonista vive nel buio di una luce riflessa ed incondizionata che pare senza scampo; trascorre le sue giornate in un tunnel privo di aria e totalmente al buio: un ambiente capace di esistere solo grazie al contatto con il reale. Abituato ad un'esistenza isolata, Thomas comunica con poche persone: una madre assillante, un assicuratore efficiente, uno psichiatra calcolatore, un rivenditore di elettrodomestici impaziente e delle donne che incrociano accidentalmente il suo cammino (una compagna disegnata con la quale pratica rapporti sessuali virtuali, una prostituta cui lo Stato affida il compito di alleviare le sofferenze dei disabili, una ragazza che cerca la propria identità e con la quale pratica il cybersex).
Camera fissa e piani sequenza accompagnano lo svolgersi dell'intera vicenda basata sull'assillante ricerca di un io privo di identità. Nessuno è soddisfatto della vita che conduce, neanche se può farlo con la libertà di movimenti di cui il protagonista è privo. Il film ripropone attraverso la voce e la situazione di un paziente virtuale per eccellenza, di un caso estremo della società, alcuni problemi legati al mondo contemporaneo, sottolineandoli con ironia e leggerezza: l'impoverimento dei rapporti umani in una vita sempre più connessa al mondo mediatico, la mania della psicoanalisi, la ricerca di apporti essenziali e in un certo senso primordiali per acquisire quelle sicurezze che l'avvento della modernità e delle nuove tecnologie ha debellato. All'interno dell'opera prima di Pierre Paul Renders pare proprio che l'apparato apportato dalle nuove conoscenze tecnologiche sia il vero protagonista di un mondo artificiale che pur costruito per essere perfetto, presenta forti incongruenze. Lo stesso Thomas, con il tempo e con l'aiuto di altre persone, se ne accorge: si rende conto di essere schiavo di internet, di un mondo virtuale che asseconda la sua fobia invece di renderlo libero di superarla.
Durante l'intero film, girato totalmente in soggettiva e senza quindi la possibilità di conoscere il volto del protagonista, l'unica cosa che conta è l'immagine. I giorni trascorrono senza sapere esattamente con che velocità o con che frequenza, le ore non esistono e tanto meno i luoghi. Gli ambienti rappresentati appaiono filtrati dal videotelefono che non consente il riconoscimento effettivo della loro totalità. Anche le persone non sono mai inquadrate a figura intera, ma sono spesso ridotte a immagini bidimensionali o a rappresentazioni grafiche e virtuali. In un mondo interamente predominato dalla vista e in cui gli altri sensi paiono non avere significato, lo spettatore è paradossalmente privato proprio dell'immagine del protagonista. Nessuno sa che volto abbia Thomas, quale sia il colore dei suoi occhi, in che modo ami vestirsi. Nel film, interamente elaborato sull'immagine e su quanto la rappresentazione apporti valore aggiunto all'intera opera, appare evidente l'esistenza di un forte controsenso: Thomas trascorre la propria vita appropriandosi immeritatamente delle rappresentazioni e degli sguardi altrui, fornendo allo spettatore quei colori e quelle forme che lui non è in grado di garantire.
Ma l'opera coinvolge e fa riflettere non solo attraverso il proprio montaggio ed una trama originale quanto inconsueta. Accenna, infatti, ad una tematica strettamente legata al mondo cinematografico: Thomas osserva il mondo esterno da un videotelefono rapportandosi alla vita attraverso delle immagini che percepisce da uno schermo, così come lo spettatore assiste allo svolgersi di un film, al susseguirsi di luci e ombre, immagini in movimento, sequenze provenienti da una realtà artificiale e troppo spesso illusoria.
THOMAS IN LOVE
(Belgio/ Francia, 2000)
Regia
Pierre Paul Renders
Sceneggiatura
Philippe Blasband
Montaggio
Ewin Ryckart
Fotografia
Virgine Saint Martin
Musica
Igor Sterpin
Durata
95 min