Michael Haneke
Funny games
Ne La rosa purpurea del Cairo Woody Allen si divertiva a far uscire fuori dallo schermo un personaggio per farlo interagire con il mondo reale. Haneke in Funny games compie l'operazione opposta: costringe i suoi personaggi a vivere nel mondo della finzione, inscatolati e ingabbiati, nell'unico mondo possibile.
In Funny games non è ammessa la fuga, nè la libertà, nè la scelta. Tanto ha lavorato il cinema per costruire una diegesi snodata e aperta al caso, e con tanta forza Haneke violenta lo spettatore sottolinenando che invece tutto nel suo cinema è organizzato e stabilito. La storia della famiglia (padre, madre, figlio piccolo) che raggiunge la casa sul lago per la villeggiatura e che finisce per essere massacrata da due giovanotti, innocui all'apparenza, non concede nulla al caso. I ruoli sono stabiliti dall'inizio, e rivedendo il film più volte si ha l'impressione di assistere a dei personaggi virtuali che compiono le stesse azioni con stupida ripetitività.
Paul (uno dei ragazzi assassini) sembra essere al di sopra delle parti e in alcuni momenti interpella lo spettatore, non nascondendo una macabra complicità e dimostrando di essere a conoscenza del fatto che si sta girando un film. Ma nonostante questa consapevolezza, nel momento in cui la storia si evolve nel modo sbagliato (il suo complice viene ucciso) si preoccupa immediatamente (perdendo la calma, per l'unica volta) di recuperare un telecomando per riavvolgere indietro la pellicola (o il nastro della nostra videocassetta?) e ripetere la scena. Ma chi governa tutto questo? Non è un gioco sleale quello cui stiamo assistendo?
Haneke sembra recuperare quel cinema materialista che evidenziando al pubblico i propri mezzi di produzione rivelava così la sua inautenticità. Insistendo sulla materialità dell'immagine, sulla fisicità della pista sonora e della pellicola, si toglie al cinema qualsiasi pretesa di innocenza. A ben guardare, però, Haneke ci rivela che è proprio l'inautenticità del cinema e dell'immagine a creare una propria autenticità.
Se il cinema degli anni '60 faceva uso dei propri strumenti, Haneke confonde le piste e commistiona cinema e video. Già i Lumiére registravano un muro che veniva distrutto, per poi ricostruirlo proiettando la pellicola nel senso inverso. Ma l'operazione del rewind è differente dal proiettare in direzione opposta la pellicola. Nel caso dei Lumiére c'è un artificio filmico puro, l'effetto deriva totalmente dalla macchina cinema; nel rewind invece l'artificio si commistiona all'immagine video o all'immagine digitale.In questo modo è possibile far andare indietro il nastro e registrare sopra la scena un'altra volta, con un altro esito.
Funny games è un film pensato per l'home-video perchè il suo effetto straniante funziona molto di più in televisione, vedendo il film con il videoregistratore, che non al cinema. L'operazione di Haneke non è fatta per stupire (come Lumiére), né per istruire e mettere in guardia (come il cinema materialista), ma per rivelare come la macchina-cinema possa imprigionare lo spettatore, renderlo totalmente passivo e violentarlo nell'intimo.
Il portare indietro il nastro non è un'operazione dello spettatore, ma nemmeno del regista: è un'azione di Paul (certo, con la complicità silenziosa del regista) che non permette la catarsi, cioè non permette che si faccia giustizia, non consente allo spettatore la possibilità di un riscatto. Il pubblico segue il gioco macabro dei giovani violenti, non sapendo che sarà proprio lui a subire la violenza maggiore, l'inganno supremo: il gioco non segue regole leali, ma manipolazioni scorrette. La violenza maggiore in Funny games non riguarda la famiglia massacrata, ma concerne lo spettatore che deve subire, ad ogni visione, il gioco sleale di chi è consapevole che si sta recitando. L'unica libertà, a questo punto, sembra quella di premere il tasto stop sul telecomando. Fermare il film, il cinema, le immagini; e quindi l'inganno.
FUNNY GAMES
(Austria, 1997)
Regia
Michael Haneke
Sceneggiatura
Michael Haneke
Montaggio
Andreas Prochaska
Fotografia
Jurgen Jurges
Musica
John Zorn
Durata
103 min