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The Addiction è una sorta di manifesto
del cinema del duo (ora scioltosi) Ferrara e St.John, regista e sceneggiatore:
un cinema di confine che si alimenta di genere per slegarsene e proiettarsi
verso una complessa dimensione cerebrale nei cui labirinti esiste soltanto
la guida incerta di un protagonista disperato, spaesato, perduto.
La vicenda della studentessa di filosofia Lili Taylor che, morsa dalla
vampira Annabella Sciorra, si trasforma a sua volta in una creatura
della notte, solo relativamente è riconducibile all'horror: di quest'ultimo
non resta che un riflesso a livello iconografico e formale (espliciti
i riferimenti a Murnau e Dreyer nelle sofisticate architetture visive,
nel ricercato gioco di luci ed ombre di sapore espressionista, nell'elegante
e pieno sfruttamento delle potenzialità del bianco-nero).
Ferrara e St.John prendono a prestito la figura del vampiro per affrontare
il problema della dipendenza dalla droga. Ma questo è solo un primo
livello: la metafora risulta presto sporca, inquinata, in quanto svelata;
il piano simbolico viene incrinato dagli sviluppi della sceneggiatura
che ne scoprono valenze e significati: la vampira inizia a dipendere
sia dal sangue che dagli stupefacenti, e la metafora sembra perdere
di efficacia e di senso. Non si tratta tuttavia di ingenuità degli autori,
o di un errore per eccesso di furore didascalico; al contrario, viziando
la figura retorica, riescono a liberarsi dei suoi limiti, permettendo
al discorso di ampliarsi.
Ferrara & St.John partono da un problema specifico, una determinata
manifestazione del Male e le sue dinamiche, per poi tentare, induttivamente,
di rintracciarne ingranaggi e sistemi più ampi seguendo il percorso
del personaggio.
Percorso che, come nelle opere precedenti (e seguenti), costituisce
una sorta di via crucis autolesionistica: una estrema ricerca di una
qualsivoglia forma di redenzione, che implica l'innalzamento del tasso
di abbrutimento attraverso la sperimentazione del male in ogni forma,
nella speranza di un martirio. È il cinema, rigorosamente "nero", firmato
Ferrara e St.John: il peccato come colpa e soprattutto condanna, impurità
che resta 'in circolo', impossibile a riassorbirsi; la Storia non esiste.
Tutto ciò che siamo è eternamente con noi. La domanda che dobbiamo
porci, quindi, è: che cosa potrà salvarci dalla nostra folle propensione
a propagare il male in cerchi sempre più ampi? Sfruttando appieno lo
status di laureanda in filosofia della protagonista, concedendole il
massimo dello spazio grazie alla voce narrante, gli autori radicalizzano
la messa in discussione: gli interrogativi si alimentano di storia,
di filosofia, di cultura a trecentossessanta gradi, spingendo verso
un cortocircuito totale.
Ogni porta che viene aperta rivela la fatiscenza che vi si nasconde:
qui sta il vero orrore, nella mancanza di argomentazioni contrarie -
non resta che la fede, che è l'antitesi del processo logico e che risulta
il punto di approdo finale, estremo, della protagonista. Finalmente
un esterno luminoso, dopo un ininterrotto interno-notte; finalmente
il silenzio, dopo un soliloquio disperato.
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