Andreij Tarkovskij
Solaris
di Giuseppe Verlucca
Cieli e stelle sono un buon pretesto. Secondo ciò che sostiene Tarkovskij in Scolpire il tempo (Ubulibri, Milano, 1986), sentita riflessione sulla propria opera e sul proprio pensiero, nel caso di Solaris non è la fantascienza intesa come tentativo di film di genere a interessarlo, piuttosto le psicologie dei personaggi che agiscono in una situazione limite, quella futuristica, appunto.
In realtà, quello che colpisce di questa pellicola è una certa propensione al visionario e al contemplativo, caratteristica che balza agli occhi fin dall'inquadratura iniziale: acqua di stagno e alghe fluttuanti accompagnate - montaggio ejsensteniano verticale - dalle note di Bach. Tarkovskij programma così il film (pur mutilato nella versione italiana e doppiato malamente) a essere prima di tutto un'esperienza sensoriale, spaziale (cioè di rapporti). Il fine è quello di raffigurare l'atto della conoscenza prima di ogni tipo di concettualizzazione.
Il resto, trama compresa, è semplice pretesto. Lo psicologo Kelvin deve indagare su strani fenomeni avvenuti in una stazione orbitante che gravita attorno al pianeta Solaris, un corpo celeste caratterizzato da un immenso oceano. Bombardato da radiazioni, il pianeta - mostro magmatico pensante - reagisce risvegliando nelle menti degli astronauti ossessioni passate: nel caso del protagonista l'incubo è la materializzazione di Harey, la compagna morta suicida anni prima.
Da apparizione quasi eterea, la donna diventa poco a poco sempre più "umana". Kelvin se ne innamora nuovamente. Harey cerca più volte la morte, sempre fallendo; ma alla fine riesce nel suo intento sottoponendosi a un annichilatore. Il protagonista ripiomba nella solitudine. Tornato sulla terra lo psicologo va dal padre e, inginocchiatosi di fronte al vecchio, pare riflettere sugli avvenimenti da lui recentemente vissuti; ma un dolly senza fine mostra come la casa in cui i due si trovano sia in realtà dislocata al centro dell'oceano di Solaris.
Questo finale enigmatico difficilmente si presta a un interpretazione precisa: le coordinate spazio-temporali sono saltate: il "dopo" è ancora un "prima" e la terra si identifica col pianeta Solaris. La narrazione pare fallace e il colpo di scena spiazzante. In questo caso la figura autoriale del regista si impone con forza, descrivendo un oceano a meta' tra il maelmstrom di Poe e il mare ondoso della conoscenza del talmud ebraico.
Tarkovskij è un russo legatissimo alla tradizione del proprio paese, sempre alla ricerca di una dimensione poetica del cinema, per questo intraprende vie diverse dai registi occidentali, anche se ne comprende la lezione. Le forme e i modi che inventa in questo film lo possono avvicinare al Kubrick di 2001 (infatti la stampa dell'epoca parlò di risposta russa all'odissea nello spazio), ma poco si riscontra della potenza lisergica dell'epos kubrickiano: meglio considerarlo cinema di confine, separato, magari risibile per la sua ingenuità, ma indubbiamente carico della personalità di Tarkovskij, davvero molto affascinante.
SOLARIS
(Russia, 1973)
Regia
Andreij Tarkovskij
Sceneggiatura
A. Tarkovskij, F. Gorenstejn
Montaggio
A. Tarkovskij
Fotografia
Vadim Jusov
Musica
Edward Artemev
Durata
115 min