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Bugie
è il film del regista coreano - al quale è dedicata la copertina
di questo numero - che ha tanto fatto discutere il pubblico dell'ultima
edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Infatti racconta in
maniera innocente la consapevole scoperta del sesso da parte di una ragazzina,
con un uomo più adulto, e la relazione sadomasochista che si instaura
tra i due. Il sesso diventa una droga (è abbastanza chiaro l'ironico
riferimento ai primi tre "buchi" della ragazza) che incatena i
due protagonisti, e il corpo diventa lo strumento indispensabile per abusarne.
Sadismo, masochismo, coprofagia, ci sono presentati in una dimensione alienante
che non lascia niente all'immaginazione, imponendosi per un ripetersi estenuante.
Quest'ultimo - unito all'ingenuo accenno metacinematografico che si presenta
all'inizio del film per poi scomparire completamente - è infatti
uno dei punti deboli della pellicola, che risulta obbiettivamente troppo
lunga e che, abbracciando la dimensione del cortometraggio, avrebbe guadagnato
nell'incisività del contenuto.
Lasciando da parte le implicazioni morali ed etiche, che poco interessano
e che esulano da questo campo, è utile segnalare come lentamente
venga spostato il limite di ciò che si può e si deve mostrare.
Di conseguenza è innegabile il suo valore di portavoce della nuova
volontà di far vedere, di mettere a nudo qualsiasi realtà;
se chiaramente quando si toccano i tabù sessuali il clamore è
maggiore, quest'argomento si può estendere a tutta una tendenza
che si è venuta a formare negli ultimi anni e che si va perfettamente
ad inserire nella lunga serie di domande aperte che questo nuovo millennio
oramai alle porte ci impone di formulare.
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