Tra i "7 magnifici corti" (questo è
il titolo che è stato dato alla videocassetta edita da L'Unità) di Polanski,
Morderstwo (Omicidio) del 1957 è probabilmente quello più interessante.
La parola che guida Polanski in questo cortometraggio della durata di
un minuto è semplicità. "Essere semplici è difficile. Più siete
semplici più siete complicati al tempo stesso, ma in modo più profondo,
non superficiale". È una grande lezione artistica quella che dà Polanski,
e la semplicità di "Omicidio" è disarmante.
Il film, composto da tre inquadrature avvolte dal silenzio, scorre rapido
davanti ai nostri occhi: vediamo un assassino che compie un delitto e
il pugnale che penetra nella carne dell'uomo ucciso sembra essere inevitabile.
È tutto ristretto al minimo indispensabile, ma il corto conserva qualcosa
di estremamente maestoso e misterioso.Un ruolo importante lo ha certamente
la fotografia. I forti contrasti tra il bianco e il nero, che suggeriscono
un' idea di povertà e di essenzialità, creano un'atmosfera di crudele
freddezza, rivelando un legame con un certo cinema espressionista.
La porta si apre: entra un uomo nella stanza che si dirige verso un altro
uomo che sta dormendo. Stacco. Con fredda lucidità vediamo l'omicidio:
il coltello entra nel centro del petto dell'uomo addormentato. Nella terza
inquadratura l'assassino passa davanti alla mdp oscurando l'immagine con
il suo cappotto e esce dalla stanza.
Ma l'incredibile è che Polanski in così poche inquadrature riesce, in
modo del tutto casuale e inconsapevole, a introdurre un elemento di ambiguità:
l'assassino aveva chiuso la porta dietro di sè entrando nella stanza,
ma quando scappa la porta è aperta. O, meglio, noi non vediamo l'assassino
aprire la porta e anche se questa azione può essere intuita e considerata
ovvia, nulla ci vieta di pensare che la porta fosse effettivamente già
aperta. Questa piccola svista ha dell'incredibile. È un errore banale
che in un lungometraggio probabilmente non avrebbe peso ma in un cortometraggio
che si gioca tutto in tre inquadrature (nemmeno particolarmente lunghe)
non può non essere notato e considerato.
In realtà si potrebbe intuire il fatto che l'assassino, che ad un certo
punto copre completamente l'obiettivo oscurando l'immagine, apre la porta
effettivamente chiusa. La soluzione registica di Polanski non è sbagliata,
non siamo di fronte ad un "errore grammaticale"; ma il fatto che l'inquadratura
non chiarisca in modo rigoroso questo aspetto apre il film verso una possibile
ambiguità. È proprio questa svista, concretamente presente nell'immagine,
che trasporta queste tre semplici inquadrature a un livello più alto legato
al mistero, al dubbio, all'enigma. La porta era chiusa: abbiamo l'impressione
di rivederla aperta? L'assassino è forse stato visto da qualcuno che ha
aperto la porta e che è corso a chiamare aiuto? Oppure c'era un complice
che lo stava aspettando? Tutto è filato liscio?
Queste tre inquadrature evidenziano un aspetto quasi oscuro del cinema
(legato, in parte, a quello che Barthes chiamava senso ottuso, o terzo
senso). E cioè il fatto che un film, per quanto calcolato e elaborato,
può sempre prestarsi a letture nuove e non predefinite; il fatto che un'immagine,
o una serie di immagini, possano rivoltarsi contro il regista stesso e
creare da sole un senso nuovo e inaspettato. Anche nell'immagine più semplice
e banale possono intervenire componenti inaspettate e nulla vieta di studiare
queste componenti. "Omicidio" di Polanski senza volerlo e con assoluta
semplicità, ci ricorda proprio che un'immagine è un segno aperto mai definibile
una volta per tutte.
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